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Lettere, battute e telefonate: la diplomazia emotiva alla Casa Bianca

- di: Bruno Legni
 
Lettere, battute e telefonate: la diplomazia emotiva alla Casa Bianca
Diplomazia emotiva alla Casa Bianca: Trump, Zelensky e tregua
Zelensky porta a Trump la lettera della moglie sui bambini deportati, il presidente Usa scherza con Meloni e confida a Macron che Putin “vuole un accordo per me”. Ma sulla tregua si consuma lo scontro tra Trump e i leader europei.

(Foto: Giorgia Meloni e Donald Trump).

Una giornata che sembrava scritta, ma non lo era

Alla Casa Bianca la diplomazia ha abbandonato i rituali ingessati. Ha parlato il linguaggio dei simboli e delle emozioni, ha messo in scena imprevisti, sorrisi e tensioni. È stato il giorno in cui Donald Trump e Volodymyr Zelensky, circondati dai leader europei, hanno aperto la porta a un possibile incontro diretto con Vladimir Putin. Non solo accordi e trattative: a dominare la giornata sono stati i dettagli di scena, quelli che spesso rivelano più di un comunicato.

La lettera che cambia il tono

Nello Studio Ovale, Zelensky non si è limitato a discutere di armi e garanzie di sicurezza. Ha consegnato a Trump una lettera scritta dalla moglie Olena Zelenska, che racconta la sorte dei bambini ucraini deportati in Russia. Un foglio semplice, poche righe, ma capaci di spostare il baricentro dal piano geopolitico a quello umano. Ursula von der Leyen ha definito quel gesto “un richiamo potente all’umanità”, rilanciando il tema dei minori come questione prioritaria nei negoziati.

Le battute di Trump e il sorriso di Meloni

Trump, fedele al suo stile, ha alternato pugno di ferro e leggerezza. Ha sorpreso definendo Giorgia Meloni “una grande leader, d’ispirazione per tutti”. Una frase che ha fatto sorridere molti dei presenti, seguita da un ringraziamento della premier italiana, visibilmente soddisfatta per un riconoscimento che la colloca agli occhi del tycoon nel ristretto cerchio delle figure di riferimento. Non un dettaglio da poco: in un vertice dominato dagli americani, Meloni ha guadagnato una vetrina inaspettata.

Lo spostamento improvvisato

Pochi minuti dopo, Trump ha interrotto il programma ufficiale: “Andiamo nello Studio Ovale, qui si ragiona meglio”. La scelta di lasciare la East Room per un ambiente più raccolto ha colto di sorpresa staff e diplomatici, ma ha dato al vertice un tono più intimo, quasi informale. Il protocollo è stato ribaltato con un gesto che ha sottolineato come per Trump la diplomazia sia anche palcoscenico personale.

La telefonata che sorprende tutti

Il colpo di scena arriva nel pomeriggio: Trump prende in mano il telefono e parla per 40 minuti con Putin. Il Cremlino definisce la conversazione “franca e costruttiva”. Al rientro, il presidente Usa annuncia che si sta preparando un faccia a faccia Putin-Zelensky con la sua stessa presenza in veste di garante. La notizia scuote i leader europei: alcuni guardano con scetticismo all’improvvisazione, altri intravedono finalmente uno spiraglio.

Il microfono traditore

A rendere la giornata ancora più teatrale, un microfono aperto cattura una frase privata di Trump a Emmanuel Macron: “Putin vuole fare un accordo per me”. Una confidenza che somiglia a una vanteria, ma che svela la sua logica: la pace come brand personale da imprimere sulla storia. Più che un incidente tecnico, un indizio del modo in cui Trump vive il negoziato: come una trattativa da showman, da intestarsi senza mezze misure.

La spaccatura sulla tregua

Dietro le battute e i simboli, però, si nasconde la vera faglia. Trump insiste che “un cessate il fuoco non è necessario”: si può trattare anche “mentre si combatte”. L’Europa non ci sta. Macron ribadisce che senza tregua ogni colloquio resta vuoto; Friedrich Merz avverte che la credibilità stessa del processo dipende dalla sospensione delle ostilità. Altri leader Ue si accodano. La spaccatura è evidente: gli Stati Uniti puntano a un negoziato rapido e flessibile, l’Europa a un percorso strutturato e più rispettoso delle regole internazionali.

Il peso delle emozioni e dei simboli

Alla fine resta l’impressione che siano stati i gesti, più che le dichiarazioni, a fare la differenza. La lettera di Olena Zelenska, le parole sui bambini, le battute a Meloni, il fuori onda con Macron, la telefonata improvvisa a Putin: tutti tasselli che hanno dato forma a una giornata in cui la diplomazia ha parlato anche la lingua delle emozioni. “Abbiamo visto più progressi in due settimane che in tre anni e mezzo”, ha osservato il premier finlandese Alexander Stubb, cogliendo il senso di un passaggio storico, fragile ma reale.

Una partita ancora aperta

L’orizzonte resta incerto. Mosca non arretra sul suo no a truppe Nato in Ucraina. Trump vuole un accordo che porti il suo nome. L’Europa insiste sulla tregua come condizione minima. Ma il 18 agosto 2025 resterà impresso come il giorno in cui la diplomazia ha tentato di aprire spiragli non solo con trattati e memorandum, ma anche con lettere, battute e telefonate. 

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