Il Papa solo a San Pietro, la parola per sconfiggere la paura

- di: Diego Minuti
 
Un uomo, chino sotto il peso degli anni (ma anche del dolore per le sorti dell’umanità e per le responsabilità che i suoi Fratelli tra gli uomini gli hanno conferito, facendosi tramite dello Spirito santo), che cammina lentamente, da solo, quasi sfiorando le lastre di pietra del corridoio centrale della piazza più bella del mondo. Passi ravvicinati eppure leggeri, che sembrano durare per un tempo indefinito perché il silenzio che le circonda è quasi irreale. Un silenzio nel quale, come sfregi su una tela bianca, si odono rumori lontani di autovetture che riportano a casa persone che non sanno nemmeno che davanti a San Pietro, il Papa sta compiendo uno degli atti più significativi non del suo pontificato, ma di tutti quelli che, nei secoli, hanno lasciato la loro impronta. Francesco, il Papa venuto dall’altro lato del mondo, il Papa degli umili, perché umile è lui stesso, il 27 marzo del 2020 prese su di sé il dolore per quegli uomini e donne che la pandemia, come fiori spazzati dall’improvvisa tempesta che si abbatte su un campo, si stava portando via, uno dopo l’altra. Ma aveva preso sulle sue esili spalle anche il dolore di chi era privato dell’ultima carezza, delle ultime parole, dell’ultimo sguardo, da serbare per sempre come ricordo.

La lotta al contagio impose che tutto si svolgesse lontano dalla gente, che nessuno fosse accanto all’altro, al fratello ed alla sorella, ai figli, in una piazza diventata improvvisamente enorme e straniante, perché vuota. Papa Francesco però aveva compreso che ogni suo gesto, in quel tardo pomeriggio velato dal grigio incombente delle nubi che si aprivano da ore alla pioggia, sarebbe stato rivolto, mai come in quell’occasione, al mondo dei credenti, ma anche a quello di chi ha un Dio diverso o di chi di un Dio è ancora alla ricerca. E così il Papa argentino si mosse nella piazza come se il silenzio fosse il brusio dei fedeli che lo accompagna sempre, quando lo seguono nelle sue preghiere o commentano le sue frasi, che mai così spiazzanti sono uscite dalla bocca di un pontefice. E, quasi che uno scenografo magistrale e visionario si fosse posto al servizio di Dio, l’immagine di Francesco, riflessa e quasi moltiplicata per effetto della pioggia battente nel biancore del marmo del porticato che veglia sul portone di San Pietro, diede potenza al messaggio di un pontefice che ha sempre confidato nella parola, nella forza del linguaggio. Una immagine forte che fece da contraltare alla fragilità dell’Uomo davanti ad eventi che si abbattono su di lui e che gli restano incomprensibili, se non confidando in Dio e nella sua volontà.

La potenza di atti semplici (che solo un uomo semplice può trarre da sé stesso), compiuti durante la  preghiera del marzo dello scorso anno, hanno fatto di gesti divenuti iconici - l’ostensorio levato davanti ad una folla invisibile eppure presente con lo spirito, il bacio ai piedi della raffigurazione lignea del Figlio di Dio fattosi Uomo - momenti che resteranno non della storia di questo pontificato, ma della Chiesa. La solitudine davanti a Dio, la sera del 27 marzo del 2020, è diventata il modo per rivendicare la Fede davanti alle avversità, per affermare che tendere le mani e stringerle ad altre non può essere un semplice atto di amicizia, ma soprattutto di condivisione. Perché avete paura? Non avete ancora fede?” disse il Papa rivolto a ciascuno di noi per ricordare a tutti che è attraverso la Fede che si sconfigge la paura. È la Fede che ci insegna e ci forma, anche se le avversità ci colpiscono. Ma la paura genera reazioni diverse, come il silenzio che non è una scelta, ma la dimensione che si sceglie quando non si hanno strumenti per combatterla e sconfiggerla. E la parola che infrange il silenzio, che attraversa il vuoto, è una risposta, forse la sola alla quale l’Uomo  può ambire, anche se essa impone il coraggio delle scelte. Un silenzio che ha avvolto il Papa, il 27 marzo dello scorso anno; un uomo in cui la solitudine era semplicemente un evento fisico e transitorio, che coinvolgeva la comunità dei cristiani. Quelle frasi, le immagini ad esse legate, la solennità ed insieme la semplicità non potevano essere solo un momento di un pontificato che sta riscrivendo le regole, in termini di comunicazione, verbale e visuale. Dovevano diventare esse stesse momento di riflessione, per il momento in cui esse si sono manifestate, mentre il mondo stranito assisteva a spettacoli di morte e sofferenza.

Ne è nato un libro e “Perché avete Paura? Non avete ancora fede?” è il titolo scelto dalla Libreria editrice vaticano per un’opera che si è voluta realizzare per dare una vesta unica al racconto di quel pomeriggio, e con esso alle immagini che lo hanno caratterizzato, facendo di una preghiera, pronunciata in un momento di dolore, un messaggio di speranza. Un libro, spiega il Dicastero della Comunicazione, che “vuole consegnare alla Storia le immagini e le parole, per illuminare il cammino che verrà, consapevoli che ‘non possiamo tacere quello che abbiamo visto e udito’, perché possano rimanere impressi nella memoria ed essere ancora raccontati dalle generazioni future”.

Il volume si articola in due sezioni, distinte, ma perfettamente legate: la preghiera e l’insegnamento. Con la preghiera, spiega il Dicastero della Comunicazione, il mondo si è fermato, insieme al Santo Padre, per pregare ed implorare Misericordia. Nella preghiera il Papa ha esortato “come fece Gesù con i discepoli, ad avere fede, perché con Lui sulla barca non si può naufragare”. Con l’insegnamento siamo stati invitati ad un “esame di coscienza sincero, per comprendere cosa è veramente essenziale, per analizzare il modo in cui agiamo, nelle grandi e nelle piccole circostanze, per comprendere dove ci siamo smarriti e come ritrovare la strada”. Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione nell’introduzione al libro, ha scritto di quanto grande sia forza del Papa di trasmettere il suo messaggio, di renderlo fruibile a tutti grazie alla verità. “Il Papa - afferma Ruffini, ricordando quanto accaduto lo scorso anno, in piazza san Pietro - era solo come ognuno di noi. Tutti soli davanti a Dio. Tutti uniti davanti a Dio. Tutti fragili e nelle sue mani. la parola ha sempre bisogno del silenzio. E il silenzio è eloquente solo quando riecheggia la parola”. I

l mondo, quindi, confrontandosi con la crisi sanitaria, ha dovuto cercare nuove risorse, nuove energie, prendendo atto che quasi tutto è cambiato e il “quasi” riguarda, purtroppo, il destino di chi soffriva prima e oggi soffre forse di più. A mons. Lucio Adrian Ruiz, segretario del Dicastero per la Comunicazione, è toccato l’impegnativo compito di trarre le conclusioni di cosa quel pomeriggio di marzo, piovoso, grigio, opprimente, ha lasciato in eredità. Significative le frasi come quelle che descrivono, con tratto efficace, il rapporto tra l’umanità e il Male, che in questi mesi ha vestito i panni di un virus che ha portato morte e sofferenze: “Se la pandemia ha mostrato la debolezza della nostra cultura, è necessario che da questa crisi si impari per uscirne diversi, perché da una crisi mai si esce uguali: o si esce migliori o si esce peggiori, ma mai uguali”.
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