Stati generali, una kermesse come tante altre
- di: Diego Minuti
Alla vigilia della celebrazione degli Stati generali, nella cornice di villa Pamphili, fortemente voluta dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, la domanda da porsi non è tanto su quali saranno i risultati della kermesse, ma su cosa abbia spinto il premier a lanciarsi in una iniziativa del genere che, come tutte quelle con le medesime caratteristiche organizzate nel tempo da leader politici in apnea di consensi, non sembra destinata ad ottenere chissà cosa.
A vedere l'enfasi con cui gli Stati generali sono stati annunciati, sembra che i destini del Paese siano stati affidati a coloro che, avendo come interlocutore unico Conte, dovrebbero esprimere idee, formulare proposte, circoscrivere impegni su come fare uscire l'Italia dalla crisi.
Una cosetta da nulla, verrebbe da dire.
Guardando Conte nelle ripetute apparizioni in televisione, avendo accanto Casalino (inevitabile la rima con Tigellino), si ha la percezione che il presidente del Consiglio sembra avere perso il contatto con il Paese reale, che ha esigenze ed urgenze che non possono essere sanate con poche battute ad effetto.
Nessuno nega che il Governo abbia cercato di fare, ma è il modo con cui stia perseguendo questo obiettivo che lascia perplessi. O meglio dire, sorpresi perché - una volta deciso che bisogna mettere sul tavolo 'x' miliardi di euro a sollievo dell'economia, reale e delle famiglie - non si capisce bene come mai, dopo avere vergato i proclami, non si sia infilata la penna dentro il calamaio e preso in mano il badile. Il culto delle parole, l'amore sconsiderato per il proprio modo di porsi e parlare, vanno bene nella stagione in cui tutto procede al meglio. Ma quando arrivano i problemi seri, anche un premier in Worchestershire sauce, come ama apparire Conte, deve spogliarsi degli orpelli di una scontata retorica per andare avanti con decisione travolgendo tutti gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento dei traguardi che lui stesso, non altri, ha annunciato.
La prima vera contestazione di cui Conte è stato fatta oggetto davanti a palazzo Chigi, da dove era uscito per andare a bere un caffè in un bar (ma, visto il clima, non era meglio farsi una cialda in ufficio?) lascia il tempo che trova perché il più esagitato a parlare contro di lui e contro il governo era un irato signore, avvolto in un tricolore. che poi ha ammesso di essere già fruitore di un provvedimento assistenziale (il reddito di cittadinanza).
Ma resta comunque un segnale che l'idillio tra il primo ministro e gli italiani si sta spegnendo (anche se non esclusivamente per colpa del premier) di fatto disperdendo un patrimonio di credibilità enorme, lo stesso di cui godono, lo dice la Storia, coloro che guidano un Paese durante una emergenza. All'inizio lo si ringrazia per l'impegno speso, poi, via via, si cerca di capire se le frasi che dice corrispondano alla verità. Poi, quando ci si accorge che i fatti non arrivano, la gente comincia a pensare che forse è arrivato il momento di puntare su un altro cavallo.
Ma questo è un discorso che lascia il tempo che trova, sino a quando Conte non chiarirà quali siano le sue vere intenzioni. Perché da premier che non si vuole candidare a succedersi può adottare anche misure impopolari, ma prese nell'interesse di un Paese intero. Ma se sta preparando un ingresso organico in politica, ogni sua mossa potrebbe portare in sé il seme del compromesso, per evitare di inimicarsi molta parte dell'elettorato.
Parole come altre. Ora aspettiamo gli Stati generali per vedere cosa Conte ne saprà tirare fuori.
Da italiani dobbiamo sperare fortemente che ottenga il massimo possibile.
Il massimo possibile, ma per chi?