Renzi ha sbagliato i tempi della crisi, non le motivazioni
- di: Diego Minuti
Non è certamente mr.Wolf, il solutore di problemi (come forse lui crede di essere), ma nemmeno il lupo mannaro come viene descritto in queste ore. Matteo Renzi, con la pseudo-conferenza stampa di ieri pomeriggio (portata avanti con il collaudato sistema "accorpa le domande e rispondi a quelle gradite"), ha messo, almeno per il momento, la parola fine al governo di Giuseppe Conte, venendo per questo travolto da critiche quasi generalizzate. Ma così paga, anche e forse soprattutto, quella incancellabile aura di arrogante, spaccone, cinico che si porta dietro sin da quando da sindaco di Firenze si fece paladino del ricambio della politica.
La domanda sull'evoluzione della crisi, per come l'ha voluta Renzi, è sui tempi - che sono totalmente sbagliati -, non certo sui contenuti. Perché, se certamente oggi l'Italia non merita una crisi in un momento delicatissimo, Renzi ha tradotto in uno schiaffo politico quello che in molti (anche all'interno della maggioranza) pensano sul metodo di governo di Conte che restringe la platea dei contributori a pochi elementi, comunque controllabili.
Chi ha avuto la pazienza di leggere Italia Informa, saprà che da sempre critichiamo la deriva che Conte ha imposto al suo esecutivo, in cui tutte le decisioni passano soltanto da lui, mentre agli altri è riservato - con pochissime eccezioni - il ruolo di muti ascoltatori.
Renzi, di cui, ripetiamo, condanniamo totalmente la scelta del momento per aprire la crisi, ha cercato di spiegare che il suo è un gesto dal sapore purificatorio, per mondare il Governo da un personalismo che sta marchiando a fuoco ogni atto importante dell'esecutivo.
Di esempi, in questi mesi, ce ne sono tantissimi e non possono ridursi solo a importanti dossier come la gestione del Recovery Fund o la delicata questione della delega ai servizi segreti, entrambi sintomo di un modo totalizzante di interpretare il ruolo di presidente del consiglio che, lo ricordiamo a noi stessi, è organismo collegiale e non ratificatore delle decisioni prese solo dal dominus.
Giuseppe Conte, quando - ad esperienza conclusa - dovesse decidere di scrivere le sue memorie, potrebbe anche spiegare - cosa che ora non sta facendo - la ratio dei suo comportamenti, del comprimere scientificamente i tempi di valutazione dei suoi provvedimenti, in questo modo rendendone difficile la contestazione; della sua ostinazione a non cedere di un millimetro il territorio del potere che ha saputo costruirsi; della sua incomprensibile determinazione nel non accettare le critiche, anche le più fondate. Come dimostrerebbe, sempre che l'abbia veramente detto, quel riferimento al "diluvio" che si scatenerebbe se lui dovesse andare via.
Lo diciamo da tempo: Conte (ed il governo) sono stati bravi ad affrontare la prima fase della crisi sanitaria e forse lo sono anche ora, in occasione della campagna vaccinale. Ma un patrimonio di consensi può essere sprecato nel giro di pochissimo tempo, per come è riuscito a fare Conte, arroccato in una visione egocentrica, con i tempi dettati non dalle urgenze, ma dalla comunicazione. Ed è strano pensare che uno studioso del diritto - che impone rigore nell'analisi - alla fine si convinca a piegarsi ad apparizioni televisive posticce, ancorché studiate nei minimi particolari, per conquistare audience, cosa che non significa nulla se non seguono fatti concreti. Il caos nelle scuole - che ad oggi appare inestricabile nella giungla di provvedimenti ed interpretazioni conseguenza anche dalla confusione che provoca la linea scelta dal governo - è uno degli argomenti che attendono risposte da Conte, che non arrivano. Così come la mancanza di un ragionamento di prospettiva nella scelta politica di basare la risposta alla crisi con l'elargizione di bonus e non invece con provvedimenti di medio e lungo periodo, quelli necessari perché la ripresa sia veramente tale e non invece un meccanico rimbalzo dell'immissione temporanea di denaro nel circuito dei consumi.
Matteo Renzi, anche lui prigioniero del suo personaggio, ha forse scelto il momento peggiore per aprire una crisi che, oggi come oggi, è un salto nel vuoto perché porterebbe il Paese dritto verso nuove elezioni. Anche se forse bisogna spendere un istante a riflettere se, come dicono concordi tutti i sondaggi, dovesse vincere il centrodestra di Salvini, l'Italia si troverebbe a gestire oltre 200 miliardi di euro da quell'Europa che il "Capitone" ha sempre riempito di contumelie ed accuse.
Ora la palla passa a Conte che si racconta essere furioso con Renzi, per come è naturale. Ma questa potrebbe anche essere l'occasione che il presidente del Consiglio rifletta. L'ex segretario del Pd non sembra il tipo di fare battaglie puramente ideologiche, ma di certo Conte gli ha dato l'occasione per contestarlo al punto tale che Renzi lo ha accusato di agire in un'ottica da "pieni poteri" che ha fatto saltare l'assalto di Salvini a Palazzo Chigi.
Lo ricordi, Conte, quali sono le prerogative del presidente del consiglio, ma, soprattutto, ne ricordi i limiti.