Abbattere le statue di chi si odia sazia la rabbia ma non cancella la Storia

- di: Diego Minuti
 
Ciclicamente (non pensate che sia una cosa nata dopo la tragica morte di George Floyd) in qualche Paese scatta irrefrenabile la voglia di cancellare il ricordo di qualcosa abbattendone il ricordo fisico. Soprattutto le statue che, come bene si sa, vengono erette per celebrare qualcuno per quello che ha fatto, soprattutto se quel che ha fatto ha avuto effetti benefici sulla collettività. Come è accaduto persino per Winston Churchill, il cui monumento a Wastminster, è stato imbrattato con una scritta che lo accusa di razzismo. In Italia, bisogna pure ammetterlo, siamo stati abbastanza immuni da questa voglia di cancellare, anche perché, alla fine della guerra, sono stati distrutti quasi tutti i simboli del fascismo, portandosi avanti con il lavoro per i decenni successivi.

Certo, ogni tanto - tacendo di chi avrebbe voluto 'normalizzare' il quartiere dell'Eur, a Roma - si incappa in qualche episodio che un minimo di riflessione la impone, come il memoriale di Affile dove si ricorda il maresciallo Francesco Graziani, uno che ancora in Africa si ricordano bene per la mano pesante usata per spegnere la rivolta, abituato com'era a prendersela con i civili e spacciando le stragi per azioni militari. Per quel mausoleo il sindaco di Affile, Ercole Viri, che da primo cittadino ha girato abbondantemente la boa dei dieci anni di carica, ha rimediato, in primo e secondo grado, una condanna ad otto mesi di reclusione per apologia del fascismo.

Ma per il resto non è che in Italia ci sia questa spasmodica ricerca di una statua da abbattere, di una targa da rimuovere, di una intitolazione di strada da revocare. Qualcosa s'è fatto (come accaduto a Roma, per una lodevole - seppure rara - iniziativa del sindaco, Virginia Raggi, che ha voluto che si mutasse l'intitolazione di strade che ricordavano firmatari del Manifesto della razza), ma tutto è rimasto nella normalità di proposte e proteste, senza lo scatenarsi di un vento iconoclasta. Ed è, consentitemelo, una prova di equilibrio visto quanto sta accadendo in altri Paesi quando eventi dolorosi riaprono ferite antiche.

Basta ricordare solo quel che è accaduto a New Orleans, quando, nel 2017, sorprendentemente nottetempo come quando si fa qualcosa di cui vergognarsi, è stata rimossa la statua equestre del generale Robert E.Lee, eroe della Confederazione, per poi essere spostata in un luogo che, ancora oggi, per quel che se ne sa, è segreto.
Lee era un militare, anzi un grande generale. Uscito dall'accademia di West Point, da virginiano sentì il dovere di lasciare l'esercito degli Stati Uniti per arruolarsi in quello della Confederazione, dove, per tre anni e quasi sempre in numero inferiore di uomini ed armamenti, conseguì importanti risultati, tanto da meritare il rispetto degli avversari, tra cui Ulysses S.Grant, futuro presidente.

Le sue statue, anche dopo la fine della Guerra di secessione, cominciarono a punteggiare strade e piazze del Sud, anche se lui non era sostenitore dello schiavismo, tanto da affrancare i neri che aveva avuto per un periodo brevissimo e i 63 che gli erano toccati in eredità dopo la morte del suocero. Negli ultimi anni anche lui è finito nel mirino degli antischiavisti per colpe di cui forse non si macchiò, essendo stato un militare e non certo uno che lucrava sulla pelle di chi lavorava per lui.
Perché dico questo? Per un motivo ai miei occhi evidente e che cerco di spiegare con un famoso aforisma di Pietro Nenni, ''a fare a gara con i puri, troverai sempre uno più puro che ti epura''.

Cioè quel che oggi va bene, domani potrebbe non essere più valido, accettabile, percorribile.
Se dovessimo applicare la regola della strada, in cui in quanti più si è, tanto più ci si sente autorizzati a urlare e a pretendere, in Italia ad esempio,andando a ritroso, si dovrebbero rimuovere i segni dell'espansionismo violento dei Romani, così come quelli degli uomini d'arme che, all'epoca delle signorie, certo non conquistavano territori con il sorriso e portando doni.

Forse anche questo dà la misura della rabbia che la gente si porta dentro e che ha bisogno di un nemico perché ci si senta vivi, utili a qualcosa, anche se le battaglie di principio sono sempre difficili da vincere.
Anche la Francia e già in epoca non recentissima è stata scossa dalla rivolta degli antischiavisti che hanno avanzato con forza l'istanza di rimuovere l'intitolazione di quelle strade che oggi, ricordandone i nomi, di fatto celebrano coloro che, con la tratta degli schiavi e con lo sfruttamento dei neri strappati alle loro terre, si sono arricchiti, loro, ma c'è da aggiungere, arricchendo anche il loro Paese. È un modo per evitare che l'abitudine cancelli la Storia, anche se essa è portatrice di valori negativi.

A Bordeaux questo dibattito è in corso da tempo, ma non per questo si è inaridito, perché i sostenitori del diritto a cancellare la celebrazione di chi opprimeva i suoi simili vogliono che se ne discuta, che non siano solo materia per gli storici.

E in Francia l'elenco delle città che ospitano strade intitolate a negrieri seppure non lungo, è avvilente: Nantes (rue Grou, rue Leroy, rue Berthelot, Avenue Bourgaud-Ducoudray, Avenue Guillon, rue Fosse, rue Terrien, Avenue Millet); Bordeaux (rue Baour, Cours Balguerie, Cours Portal, rue Saige, rue David Gradis, rue Gramont, Place Lainé, rue de la Béchade, rue De Bethman, rue Desse, Place Mareilhac, Cours Journu-Auber, Place Ravezies, rue Daniel Guestier, Place John Lewis Brown, rue De Kater, Place Johnston, rue Fonfréde), La Rochelle (Avenue Belin, place Rasteau, rue Fleuriau, rue Admirault, rue Giraudeau) e Le Havre (rue Masurier, rue Begouen, rue Boulongne, rue Eyrier, rue Massieu).

Ce n'è per tutti i gusti. Molti francesi non conoscono niente delle persone che figurano nell'elenco, ma un secolo fa esse erano sinonimo di tratta di neri, quindi di commercio, quindi di ricchezza. E, si sa, il profumo del denaro si spande velocemente e copre tutto, persino le coscienze.
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