2 Giugno: la Festa di un Paese mai come oggi lacerato

- di: Diego Minuti
 

Mai come quest'anno la Festa della Repubblica ha visto il Paese così lacerato, preda di pulsioni che, ed è questo l'aspetto più grave, prendono spunto dalla crisi da Covid-19, impiegando la paura della gente, la rabbia (giustificata) e le speranze ormai spente come humus dentro il quale piantare il seme della rivolta sociale.

Vedere migliaia di persone in piazza che danno voce alle proprie recriminazioni è un elemento sano del meccanismo politico che chiamiamo democrazia. Ma quando queste persone diventano marionette nelle mani di manipolatori del consenso, allora è forse giunto il momento di dire una parola sola: basta.

Basta al populismo becero, che non è solo quello sinteticamente definito di destra, che si nutre della paura dell'altro, oggi di chi non ha lo stesso colore della pelle o prega lo stesso Dio, ieri magari perché parlava un dialetto diverso ed al quale gli arricchiti di turno non affittavano case, assimilandolo a un molesto animale domestico. È il populismo di chi pretende solo per sé e per questo mette in moto una folle centrifuga morale di idee che alla fine perdono la loro originale motivazione per diventare solo un modo per imporre le proprie idee, privando d'efficacia, con la forza, quelle degli altri.

Basta col populismo di chi, vestendo i panni della sinistra (rossa, rosa, o di qualsiasi altro colore) annusa il vento, capisce verso dove soffia e lo alimenta non parlando o gridando, ma emettendo refoli di idee che sono ancorate solo al tornaconto di pochi, spesso di lui stesso. Un populismo che si manifesta dal di dentro o al di fuori di un governo, tanto non fa alcuna differenza, con un solo unico obiettivo: rendere ancora più grande l'ego di chi lo alimenta.

Basta con la politica dei proclami, perché si può sempre fare qualcosa in più, si deve fare di più e soprattutto con misure che diano ristoro alla maggior parte di una popolazione che, fatta eccezione per i soliti vampiri che si nutrono dalle disgrazie di altri, è stremata psicologicamente, ma soprattutto finanziariamente. 

Basta con un modo di governare in cui le divaricazioni tra i partiti che fanno parte dell'esecutivo annullano reciprocamente le misure del presunto alleato, soprattutto quando sono efficaci e rischiano di rosicchiare consenso. 

Basta con gli editoriali in cui c'è sempre un colpevole da insultare ed appartiene sempre al medesimo schieramento, con un meccanismo in cui si relativizzano le responsabilità degli amici ingigantendo quelle degli avversari. No, chiamiamoli per nome, nemici. Anche perché chi oggi sbraita davanti al Palazzo fino a pochi mesi fa aveva i suoi ascari all'interno delle stanze del potere, che combattevano essenzialmente per accaparrarsi posti al proscenio dei talk show, mai come oggi rappresentazione distorta della realtà del Paese. 

La stessa Italia il cui tricolore, per coloro che oggi si dicono pronti al martirio giudiziario per difenderne i confini dall'invasione degli immigrati, serviva solo per igiene personale. Un Paese che non si può riconoscere in personaggi che raramente hanno piegato la schiena a lavorare, ma che della politica hanno fatto una forma di guadagno, che varia, a secondo del ruolo, da 14/16 mila euro al mese a 49 milioni di euro.

E basta con l'immagine di un Paese che, come un uccellino appena uscito dal guscio, sta a bocca aperta aspettando che qualcuno gli dia da mangiare, con questo o quel tipo di reddito assistenziale. L'Italia vuole ripartire, e da subito, a dispetto da chi ha chiamato a rappresentarla politicamente.

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