Benjamin Netanyahu ha convocato il gabinetto di sicurezza. Sul tavolo, il piano di occupazione totale della Striscia di Gaza. È una linea dura, senza sfumature, che spacca Israele. Il capo di stato maggiore dell’Idf, insieme a una parte della dirigenza militare, si oppone apertamente. I generali avvertono: l’operazione rischia di trasformarsi in un pantano. All’interno della coalizione di governo le voci critiche aumentano, ma il premier sembra deciso a tirare dritto.
Netanyahu forza sull’occupazione di Gaza. Israele si spacca, i generali avvertono: “Errore storico”
Le forze di opposizione parlano chiaro: occupare Gaza è un errore politico e strategico. Yair Lapid ha incontrato Netanyahu nelle ultime ore e, al termine del colloquio, ha dichiarato: “Gli ho detto che è una pessima idea. La maggioranza della popolazione israeliana non la vuole.” Ma il clima non è quello del dialogo. Le posizioni si irrigidiscono. Netanyahu vuole imprimere un’accelerazione, anche in solitudine.
Famiglie degli ostaggi: “Così li condannate”
Le famiglie degli ostaggi israeliani ancora prigionieri a Gaza sono tra le voci più forti contro il piano. Temono che l’occupazione militare comprometta ogni margine di trattativa. Alcuni manifestano davanti alla Knesset, altri intervengono in televisione. “Non siamo pedine di un’operazione elettorale,” dice una madre in diretta tv. L’esercito condivide le perplessità: l’intelligence teme che l’ingresso in forze nella Striscia possa disperdere i prigionieri o, peggio, metterne in pericolo la vita.
Il piano: controllo militare diretto, senza mediazione
Il progetto di Netanyahu prevede il dispiegamento permanente dell’esercito israeliano dentro Gaza. Si tratterebbe di una presenza continua, con controllo diretto del territorio e delle infrastrutture. Nessun piano di uscita è stato previsto. Nessun interlocutore civile è indicato. L’occupazione si presenta come soluzione totale e indefinita, con un solo obiettivo dichiarato: “neutralizzare Hamas fino all’ultimo uomo”.
Generali contro, il rischio di impantanamento
Una parte dell’establishment militare teme l’effetto boomerang. Entrare fisicamente a Gaza significherebbe gestire ogni strada, ogni edificio, ogni civile. Sarebbe l’operazione più delicata dal 1967. “Non siamo pronti per questo scenario,” dicono fonti vicine all’Idf. Alcuni analisti parlano apertamente di “Vietnam israeliano”. Le truppe sono stanche. L’occupazione potrebbe durare anni. E il consenso interno potrebbe evaporare velocemente.
Pressione internazionale in crescita
Sul piano internazionale, la posizione israeliana è sotto osservazione. I gruppi parlamentari dei Socialisti, dei Verdi e della Sinistra europea hanno inviato una lettera alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Il contenuto è netto: “Vi sono prove evidenti che a Gaza si sta consumando un genocidio.” La richiesta è di applicare un embargo sulle forniture di armi verso Israele e di sospendere l’accordo di associazione con lo Stato ebraico.
L’Europa divisa, il rischio isolamento
L’iniziativa non è condivisa da tutti i governi europei. Francia e Germania frenano. L’Italia tace. Ma l’effetto politico è già visibile. La questione palestinese torna a dividere l’Europa. E Netanyahu, nel pieno della crisi interna, rischia l’isolamento anche con gli alleati storici. Gli Stati Uniti, pur non commentando direttamente, hanno inviato un segnale. Alcuni consiglieri della Casa Bianca sarebbero in contatto con ambienti militari israeliani, non con l’ufficio del premier.
Strategia o propaganda?
La vera domanda, tra gli analisti israeliani, è se Netanyahu creda davvero nel piano o stia solo forzando per consolidare il potere. Il premier è politicamente assediato: proteste interne, crisi giudiziaria aperta, tensioni con l’alleato Ben Gvir. L’occupazione di Gaza potrebbe servire a spostare il fronte, a rimettere al centro l’emergenza sicurezza, a parlare di guerra invece che di tribunali.
Dentro Gaza la crisi umanitaria si aggrava
Nel frattempo, a Gaza, la situazione peggiora. Gli aiuti non passano. Le infrastrutture civili sono al collasso. Le ong parlano di carestia diffusa, collasso sanitario, accesso all’acqua ridotto al minimo. L’ipotesi di un’occupazione diretta aggrava i timori di un’escalation definitiva. Nessun corridoio umanitario è previsto nel piano. L’intera popolazione civile della Striscia rischia di diventare bersaglio collaterale di una guerra permanente.