Cancellare la festa di Natale perché non inclusiva? Una stupidaggine di cui non sentivamo il bisogno

- di: Redazione
 
Ameremmo occuparci di altro, di cose che, sebbene non molto importanti, siano conseguenza dell'intelligenza umana. Ed invece oggi siamo costretti a dire la nostra sulla levata d'ingegno dei vertici (chi? il senato accademico? il rettore? un organismo congiunto docenti-studenti? il custode? l'addetto alle macchinette che distribuiscono merendine e bibite?) dell'Istituto universitario europeo di Fiesole: cambiare il nome delle festività di Natale eliminando "il riferimento cristiano".
Quale il motivo alla base di questa decisione - in fieri, quindi non ancora adottata ufficialmente -?
Ottemperare agli obblighi del "Piano per l'uguaglianza etnica e razziale dell'Eui".
Spiegando - a tragica conferma che una spiegazione è talvolta ben peggiore della cosa che intende chiarire - che se le feste religiose vanno inserite nel calendario, il linguaggio con cui le si comunica, si legge nel piano, deve essere "inclusivo".

Cancellare la festa di Natale perché non inclusiva? Una stupidaggine di cui non sentivamo il bisogno

Dando un'occhiata superficiale a questa strana storia, verrebbe da dire che, se portata da qualcuno in un'aula di giustizia, chi chiedesse la revoca di questa demenziale decisione avrebbe vita facile.
Nessuno mette in dubbio il diritto di ciascuno di coloro che frequentano le austere aule dell'Istituto universitario europeo di avere le sue idee e di difenderle (siano contro o a favore di una religione, o negando le fondamenta di tutte), ma qui ci si trova davanti ad un maldestro tentativo di essere più realisti del re, perché il Piano per l'uguaglianza etnica e razziale dell'Eui - di cui ammettiamo il colpevole vuoto di conoscenza, facendo ammenda - non può per definizione, parlando espressamente di uguaglianza, coartare desideri e aspirazioni di chi lo frequenta o vi insegna. Perché se passa il principio di cancellare una festa nel timore che qualcuno si offenda, deve anche passare quello che ciascuno ha diritto ad avere un'idea, ma che questo non lo autorizza ad imporla agli altri.
L'accostamento per le festività di fine anno al Natale non è certo propagandistico o con finalità di conversione perché chi non crede resterà della sua idea, anche vedendo un presepe o qualcuno girare vestito da Babbo Natale (che, nella versione anglosassone, è un ''simil'' san Nicola...).

Dov'é quindi il pericolo, ci sarebbe da chiedere a chi ha in animo di fare diventare il Natale una festa laica?
Perché se si parla di uguaglianza ''etnica e razziale'' il discorso dovrebbe essere portato fino in fondo. Quindi anche con una revisione di tutti i testi, con la cancellazione - se ve ne sono - di frasi ambigue o con finalità repressive, ad esempio, degli orientamenti sessuali, politici, religioso. Viene poi da pensare che, essendo l'istituto ospitato nella badia fiesolana, magari in qualche affresco appaiono soggetti di pelle scura, assimilabili, vista la vetustà del sito, a persone prive dalla libertà, quindi da coprire con pennellate di vernice iconoclasta.
Allo stesso modo dovrebbero essere banditi magliette e scarpe sportive, di cui si conosce bene la provenienza (sono fatte in fabbriche di Paesi poverissimi, con paghe da fame) e che quindi non sono eticamente accettabili. Ma sono scelte personali che ognuno può adottare, ma nessuno si può arrogare il diritto di imporre.

L'elenco sarebbe lunghissimo, ma forse è meglio fare parlare l'istituto che, in una nota, specificando che la decisione sul cambio di nome per la festa di Natale è "oggetto di valutazione", spiega che "le diverse osservanze religiose e culturali che sono rappresentate all'Iue - si legge nel Piano per l'uguaglianza etnica e razziale 2023-2026 dell'Istituto - saranno riconosciute nel calendario degli eventi e delle attività correlate. Si presterà attenzione a garantire che la celebrazione di festività e ricorrenze sia comunicata con un linguaggio inclusivo, riconoscendo le diverse religioni e credenze".
E ancora: ''Non cancelliamo la celebrazione di feste religiose. Nessuno ha pensato di eliminare la celebrazione di feste religiose", concludendo con una frase ad effetto: ''Questo ambiente autenticamente internazionale necessita di una politica di inclusione delle diverse culture".

Peccato che il concetto di inclusione va di pari passo con quello di esclusione. In una società che si sta laicizzando, una scelta come quella dell'Istituto sembra volere anticipare polemiche che, per quello che si è capito, non sono mai state sollevate, ad eccezione di quelle scatenate dalla decisione di dire che il Natale, pur restando la festa che si celebra da secoli e secoli, cambia nome.
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