Nanoplastiche marine: uno studio italiano rivela gravi danni cellulari negli organismi acquatici

- di: Barbara Leone
 
Le nanoplastiche di polistirene, materiale comunemente conosciuto come polistirolo, sono in grado di provocare danni cellulari gravi e irreversibili negli organismi marini. È quanto emerge da uno studio condotto da ENEA in collaborazione con il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e l’Università della Tuscia. I risultati, pubblicati sulla prestigiosa rivista Science of the Total Environment, evidenziano come nanoparticelle di dimensioni ridotte abbiano effetti devastanti sui tessuti cellulari delle specie acquatiche esaminate, con implicazioni potenzialmente drammatiche per gli ecosistemi.

Nanoplastiche marine: uno studio italiano rivela gravi danni cellulari negli organismi acquatici

Lo studio ha analizzato l’impatto di nanoparticelle di polistirene su modelli in vitro di orata (Sparus aurata) e trota iridea (Oncorhynchus mykiss). Le nanoparticelle, con dimensioni rispettivamente di 20 nanometri e 80 nanometri (cento volte più piccole di un granello di polvere), hanno dimostrato una tossicità differente. Le particelle più piccole hanno provocato danni significativamente maggiori, portando a morte cellulare programmata, o apoptosi, nelle cellule esposte. “Le particelle di plastica si sono attaccate alle membrane delle cellule, causando cambiamenti visibili nella loro forma e struttura, con tracce evidenti già dopo 30 minuti di esposizione,” spiega Paolo Roberto Saraceni, ricercatore del Laboratorio ENEA Biotecnologie RED e coautore dello studio sottolineando che “Solo le nanoplastiche da 20 nanometri hanno però danneggiato gravemente le cellule nel tempo, portandole a una morte cellulare programmata. I primi segni evidenti includevano il restringimento della cellula, la formazione di bolle sulla membrana, e il chiaro segnale di agonia rappresentato dallo spostamento della fosfatidilserina sulla superficie esterna della membrana, fino alla frammentazione del DNA.”

Per il Cnr hanno contributo allo studio Andrea Miccoli del Cnr-Irbim e Marco Mazzonna del Cnr-Isb. “I risultati che abbiamo ottenuto evidenziano che la salute degli ecosistemi acquatici e terrestri, con il loro relativo impatto sulla salute umana, è strettamente interconnessa e può venire drammaticamente compromessa dalla diffusione dell’inquinamento da nanoplastiche se non affrontato con la dovuta tempestività”, affermano gli autori. Grazie a questo studio i ricercatori hanno identificato i possibili meccanismi alla base del danno ai tessuti biologici causato dalle nanoplastiche, attraverso l’applicazione di sistemi biotecnologici innovativi e lo sviluppo di modelli sperimentali animal free avanzati che si sono rivelati cruciali per ampliare la comprensione dell’impatto dei rifiuti plastici sulla salute degli ecosistemi perché permettono di ottenere dati riproducibili e di condurre studi su larga scala.

Le nanoparticelle di plastica (visibili solo al microscopio e con dimensioni inferiori a 1000 nanometri, ossia circa 50-100 volte più piccole del diametro di un capello) hanno attirato l’attenzione della comunità scientifica per la capacità di attraversare membrane biologiche come quella intestinale e la barriera emato-encefalica4, aumentando la loro tossicità potenziale verso gli organismi marini. “Le nanoparticelle possono causare effetti come tossicità cellulare, neurotossicità, genotossicità5, stress ossidativo, alterazioni metaboliche, infiammazioni e malformazioni nello sviluppo delle specie marine, ma i meccanismi cellulari e molecolari alla base di questi impatti non sono ancora completamente compresi”, spiega ancora Saraceni.

Del resto, la contaminazione degli ambienti marini e di acqua dolce da parte delle nanoplastiche è considerata una minaccia globale per gli organismi viventi che li popolano. La produzione di plastica nel mondo è stata di oltre 400 milioni di tonnellate nel 2022 e le stime più recenti prevedono che raddoppierà nei prossimi 20 anni fino a triplicare entro il 2060. La maggior parte dei rifiuti plastici non viene gestita correttamente: solo il 9% è riciclato, il 19% incenerito e il resto finisce in discariche o siti di smaltimento non controllati. Del resto è oramai risaputo che l’inquinamento da nanoplastiche rappresenti una minaccia crescente per gli organismi che popolano ambienti marini e di acqua dolce. I numeri sono impietosi: nel 2022, la produzione mondiale di plastica ha superato i 400 milioni di tonnellate, con previsioni di un raddoppio entro il 2040 e una triplicazione entro il 2060. Solo il 9% dei rifiuti plastici viene riciclato, mentre il resto finisce in discariche o nell’ambiente: si stima che oltre 171 trilioni di particelle di plastica siano già presenti negli oceani, dove si degradano in frammenti sempre più piccoli. A farla da padrone è il polistirene, una delle materie plastiche non biodegradabili più comuni, frequentemente rilevato negli organismi marini ed associato a una tossicità significativamente superiore rispetto ad altri polimeri.
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