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Mps vola con Fitch, Mediobanca si spacca: la sfida è appena iniziata

- di: Matteo Borrelli
 
Mps vola con Fitch, Mediobanca si spacca: la sfida è appena iniziata
Lovaglio (foto) rilancia l’Ops: “Visione industriale e talenti da valorizzare”. Il mercato è l’arbitro, ma a Piazzetta Cuccia l’offerta non piace.

Una sfida frontale, senza ripensamenti

Non è più un’ipotesi né un’azzardata provocazione finanziaria: l’Offerta pubblica di scambio (Ops) lanciata da Monte dei Paschi di Siena su Mediobanca è oggi il terreno di uno scontro diretto. Luigi Lovaglio, amministratore delegato di Mps, non lascia spazio a incertezze: “Siamo certi di portare a termine l’operazione. Anche con il 35%, eserciteremmo il controllo di fatto”.

Le parole non sono solo un atto di fiducia, ma un’affermazione di forza. “È un progetto con una forte ratio industriale e finanziaria – afferma – che genera benefici tangibili per tutti”. Per l’ex banchiere UniCredit, l’offerta su Piazzetta Cuccia punta a creare un nuovo polo con capacità espansive, competenze integrate e accesso a nuovi mercati.

Il nodo del prezzo: visioni divergenti

Ma non tutto il mercato sembra convinto. L’offerta di Montepaschi – che scambia azioni proprie con quelle Mediobanca in un rapporto ancora oggetto di dibattito – oggi presenta uno sconto di circa il 4%, ovvero un divario di circa 600 milioni di euro rispetto alle valutazioni attuali.

Lovaglio, però, respinge le critiche. “Il prezzo è equo e corretto – ribadisce –. Mediobanca oggi quota 1,4 volte il patrimonio netto tangibile e ha un price/earning di 11,4. Mps è a 0,73 e 7,1 rispettivamente. Ma ci sarà un rerating quando l’operazione sarà chiusa”.

Dietro queste cifre c’è un messaggio implicito: Mps è sottovalutata e l’acquisizione di Mediobanca, se completata, potrà cambiare la percezione del mercato. Una scommessa ad alto rischio, ma con potenziale dirompente.

Piazzetta Cuccia al contrattacco

Il problema? Mediobanca non solo non si lascia sedurre, ma giudica l’Ops come “priva di razionale industriale e finanziario”. Lo ha dichiarato chiaramente l’ad Alberto Nagel. Per lui, tra la crescita autonoma e l’aggregazione proposta da Siena “non c’è partita”.

Lovaglio non si scompone: “Se c’è partita o meno lo dice l’arbitro, che è il mercato”. Un’affermazione che è al tempo stesso difesa e attacco. E insiste: “Il nostro è un progetto con un significativo grado di innovazione. Puntiamo all’arricchimento dell’offerta, all’allargamento dei mercati e alla combinazione di competenze uniche”.

Il peso degli azionisti e la soglia del 35%

Se l’Ops dovesse raggiungere almeno il 35% del capitale di Mediobanca, Mps ritiene di poter esercitare un “controllo di fatto”. Ma l’obiettivo dichiarato è molto più ambizioso: arrivare al 66,7%, soglia che garantirebbe la maggioranza qualificata nelle decisioni societarie.

“La soglia minima ha una natura tecnica – precisa Lovaglio – ma anche al 35% abbiamo la forza per indirizzare la governance”. Un’interpretazione che si presta però a essere contestata, soprattutto da chi, nel mercato, vede in questa operazione una manovra ancora troppo sbilanciata verso la governance di Mps.

Una battaglia di visioni (e di potere)

Il confronto tra Siena e Milano non è solo uno scontro tra due banche: è la cartina di tornasole della nuova stagione dell’M&A bancario italiano. Una stagione in cui lo Stato – attraverso il Tesoro, azionista forte di Mps – gioca un ruolo centrale e dove la logica del consolidamento viene brandita come leva di modernizzazione.

“Vogliamo valorizzare i tanti talenti di Mediobanca – ha detto ancora Lovaglio – e lavorare insieme da subito”. Ma la realtà è che l’attuale management di Mediobanca, con Nagel alla guida dal 2008, sembra intenzionato a difendere l’indipendenza conquistata, anche grazie ai risultati positivi degli ultimi esercizi.

Il ruolo (silente) del Tesoro e le mosse future

A oggi, il Mef non ha commentato ufficialmente l’operazione. Ma è evidente che senza una strategia condivisa con Roma, un’Ops così rilevante – con implicazioni sistemiche – non sarebbe neppure immaginabile. Il Tesoro detiene ancora circa il 39% di Mps e ha tutto l’interesse a valorizzare la banca prima della cessione finale.

Secondo alcune indiscrezioni, il ministro Giorgetti starebbe seguendo l’operazione “con attenzione, ma senza ingerenze”. Un equilibrio fragile, perché qualsiasi sviluppo negativo – anche solo sul piano reputazionale – potrebbe incidere sul percorso di uscita dello Stato da Mps.

Il mercato come unico giudice

Il mercato, come sempre, sarà il giudice ultimo. Gli analisti sono divisi: alcuni ritengono che l’integrazione con Mediobanca potrebbe effettivamente rafforzare il profilo commerciale e patrimoniale di Mps; altri sottolineano l’alto rischio esecutivo e l’incognita sulla governance.

In ogni caso, Lovaglio ha messo tutte le carte sul tavolo. E ora non resta che aspettare la risposta degli azionisti di Mediobanca, chiamati a scegliere tra la continuità della gestione Nagel e la scommessa di una nuova stagione guidata da Siena. Una scommessa che, nel panorama finanziario italiano, non si vedeva da anni.

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