Mobilità elettrica: gli incentivi non bastano, servono le infrastrutture di ricarica

- di: Daniele Maver
 
Lo scorso luglio l’Unione Europea ha lanciato il piano Fit for 55 che fissa l’obiettivo di ridurre entro il 2030 le emissioni di gas serra del 55% rispetto ai livelli del 1990. Un obiettivo decisamente ambizioso se pensiamo che dal 1990 al 2020 le emissioni si sono ridotte solo del 20%.
Ma il mondo che sta emergendo dal COVID è un mondo più consapevole dell’urgenza delle problematiche ambientali. Il COP 26 sul Cambiamento Climatico che si è tenuto a Glasgow lo scorso novembre lo ha confermato: i paesi occidentali (EU, US, UK) hanno concordato sulla necessità di darsi obiettivi più stringenti sulla strada del Net zero emissions cioè di raggiungere globalmente la neutralità delle emissioni entro il 2050. Alcuni colossi asiatici come Cina e India hanno messo le mani avanti, parlando di 2060 o di 2070, ma già il fatto che abbiano un obiettivo di questo tipo è un passo avanti.

Analisi su come portare avanti lo sviluppo del settore della mobilità elettrica

Dobbiamo purtroppo parlare della situazione in Ucraina perché oltre alla drammatica catastrofe umanitaria, questa ha spinto il nostro premier ad ipotizzare la riapertura delle centrali a carbone, al fine di compensare il calo delle forniture di gas russo; soluzione probabilmente inevitabile ma sicuramente una marcia indietro sulla strada della riduzione delle emissioni di gas serra.

Il piano UE di luglio 21 ha proposto obiettivi per il mondo della mobilità molto sfidanti: le emissioni medie di ogni costruttore erano già state fissate su livelli aggressivi dalle precedenti norme: dai 95 gr/km di CO2 del 2021 l’obiettivo era di passare a 80 gr/km nel 2025 e a 60 gr nel 2030. Ora il nuovo piano ha ulteriormente abbassato questi limiti a 43 gr/km per il 2030 fissando il target finale di zero emissioni entro il 2035. Questo vorrà dire che dal 2035 non sarà più possibile vendere auto a combustione, nemmeno ibride. Ovviamente il parco circolante di tali auto rimarrà sulle strade ancora per parecchi anni ma la direzione è segnata: solo auto elettriche in vendita dal 2035.

Quali sono state le reazioni dei costruttori? In buona parte pur sostenendo la necessità di una svolta verso l’elettrificazione della mobilità, hanno criticato la modalità e il piano di avvicinamento al target zero emissioni.
Carlos Tavares, CEO di Stellantis, ha parlato di brutalità del divieto di vendere motori a combustione dal 2035 che potrebbe creare impatti sociali derivanti dalla necessità di trasformare velocemente le fabbriche. Il motore elettrico è infatti strutturalmente diverso dai motori a combustione, più semplice, con minori componenti, una delle quali ha un peso fondamentale: la batteria. Molte di queste componenti provengono oggi dal continente asiatico e tra l’altro utilizzano materie prime, quali litio e cobalto che rischiano di scarseggiare.

Anche un altro grande dell’industria automobilistica Herbert Diess, CEO del gruppo Volkswagen, ha reagito in modo critico focalizzandosi proprio sulla fornitura di batterie. Il suo ragionamento è lineare: il gruppo VW per raggiungere l’obiettivo intermedio del 2030 dovrebbe costruire sei Gigafactory, per l’assemblaggio delle batterie. Ognuno di questi impianti occupa uno spazio di 2km quadrati. Poiché VW rappresenta un 20% del mercato, a livello totale vuol dire 30 Gigafactory. Diess conclude che è impossibile che si riesca a completare tutto questo entro il 2030, considerando spazi, materie prime, staff. Una considerazione molto pragmatica, come è tipico della cultura tedesca.

Ma cosa hanno detto i governi? In generale hanno mostrato di appoggiare la direzione proposta dalla UE, anche se molti Paesi tra cui l’Italia, si sono per ora rifiutati di sottoscriverla. Pochi giorni fa il ministro dei Trasporti tedesco ha espresso qualche riserva, aprendo alla possibilità che i motori a combustione interna possano continuare ad essere venduti anche dopo il 2035 a condizione di venire alimentati con combustibili sintetici.
Ma in questo scenario c’è un aspetto di cui si parla poco e che è invece cruciale: oltre alla pressione sui costruttori bisognerebbe dedicare altrettanta attenzione al lato della domanda. Sostenere la domanda di veicoli elettrici vuol dire non solo mettere sul tavolo degli incentivi, vuol dire anche creare le premesse affinché questi veicoli elettrici possano essere utilizzati senza troppi problemi. In due parole creare una rete di infrastrutture di ricarica che consentano in ambiti urbani e extra-urbani di poter ricaricare una vettura elettrica senza troppi patemi d’animo. Purtroppo, questo non è ancora successo e solo di recente le istituzioni si sono cominciate a porre il problema di dare una spinta alla crescita delle infrastrutture.

Oggi la situazione delle colonnine è carente e la loro crescita non è al passo con le vendite di veicoli elettrici: in un mercato 2021 sostanzialmente stagnante in linea con i livelli del 2020, la quota di mercato dei veicoli elettrici è raddoppiata (dal 2.3% al 4.6%) e quella dei veicoli ibridi plug-in (PHEV) è cresciuta ancora di più dal 2.0% al 4.7%.
Le colonnine di ricarica pubblica in Italia sono circa 26,000 di cui meno del 10% sono Fast (> 22Kw). Questo crea una situazione ancora accettabile nelle città dove i km percorsi sono pochi e anche la ricarica lenta nel garage sotto casa durante la notte può funzionare. Il problema nasce sui percorsi extra-urbani ed autostradali: infatti in questo caso non solo la capillarità delle colonnine, in particolare Fast, è ridotta (sulla A1 al momento sono 3). Spesso per trovare una ricarica Fast è oggi necessario uscire dall’Autostrada. Nonostante un decreto del 31 dicembre 2020 preveda l’obbligo per le concessionarie autostradali di creare questa rete (una stazione ogni 50 km recita la legge) siamo ancora lontani da questa situazione.

Se si vuole che la mobilità elettrica abbia un vero sviluppo e che ci porti a questi traguardi di vendite solo elettriche dal 2035 e di Emissioni Zero dal 2050 è importante che l’attenzione sia non solo su incentivi per piccole citycar, considerando che nelle città dovrebbe soprattutto svilupparsi una mobilità alternativa basata su un trasporto pubblico più efficiente e sulla micro-mobilità, ma soprattutto su una crescita importante della rete di ricarica extra-urbana ad alta potenza, in particolare sulla rete autostradale ma non solo, per arrivare a quella situazione ideale di poter ricaricare nel tempo necessario ad un rilassante break.
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