Giorgia Meloni ha annunciato che si recherà regolarmente al seggio l’8 e 9 giugno, ma senza ritirare le schede referendarie. Una scelta che ha fatto discutere e che richiama una possibilità poco conosciuta ma del tutto legittima: andare al seggio, firmare il registro per le elezioni europee, ma astenersi dal partecipare ai referendum.
Meloni al seggio ma non vota: l’astensione strategica nei referendum del 2025
La premier compie così un gesto politico dal forte valore simbolico, che evita il boicottaggio esplicito ma ribadisce una posizione critica verso i cinque quesiti in materia di giustizia. La sua è un’astensione consapevole e strategica, più sottile del semplice “non vado a votare”.
L’astensione attiva e le regole del voto
Il regolamento elettorale italiano prevede la possibilità di rifiutare alcune schede al momento del voto. In pratica, l’elettore può scegliere se partecipare solo alle elezioni europee oppure anche ai referendum. Se decide di non voler prendere parte ai quesiti referendari, può dichiararlo al presidente di seggio, che registrerà il rifiuto senza alcuna conseguenza. Non è necessario fornire una motivazione, né firmare nulla oltre il registro per la parte elettorale. In questo modo, la persona risulta presente e votante solo per la consultazione politica, ma assente – e quindi astenuta – sui referendum. È una pratica prevista, anche se non molto diffusa.
Una scelta che incide sul quorum
Nel caso dei referendum abrogativi, l’astensione ha un peso decisivo. Se non si raggiunge il quorum del 50% più uno degli aventi diritto, il quesito decade a prescindere dal risultato. Dunque, chi non vota o rifiuta le schede contribuisce direttamente al fallimento del referendum. È questo uno dei motivi che rendono strategica la posizione di Meloni: senza esprimersi con un “sì” o con un “no”, partecipa comunque all’indebolimento dello strumento referendario. La sua scelta non è quindi un’astensione neutrale, ma un atto politico chiaro, in linea con la posizione del governo che non ha mai sostenuto apertamente i quesiti, nati da iniziative politiche e giudiziarie che l’esecutivo ha sempre guardato con cautela.
Un segnale al centrodestra e agli alleati
Con il suo gesto, Meloni marca una distanza anche da alcuni settori della destra che invece hanno promosso attivamente i referendum. Tra questi, esponenti di Forza Italia o come il presidente del Senato Ignazio La Russa, e figure di spicco della Lega che vedono nei quesiti uno strumento per riformare la giustizia bypassando il Parlamento. La premier, pur riconoscendo il diritto dei cittadini a esprimersi, sceglie di non partecipare, rafforzando l’idea che le riforme strutturali debbano essere affrontate a livello legislativo, non attraverso strumenti plebiscitari. Una posizione che rispecchia anche l’equilibrismo politico tra il garantismo di una parte della coalizione e il desiderio di non scatenare nuove tensioni con la magistratura.
Il precedente del 2022 e la continuità di linea
Già nel 2022 Meloni si era astenuta dai referendum sulla giustizia. La sua coerenza sul tema va letta come una linea strategica di fondo: l’uso del referendum abrogativo non viene ritenuto utile per affrontare riforme complesse. Allora come oggi, Meloni si presenta al seggio, ma non partecipa. Un modo per rispettare le istituzioni senza legittimare consultazioni che considera inefficaci o strumentali. La conferma della sua posizione rafforza la lettura di un governo che, pur mantenendo il dialogo con i propri alleati, vuole controllare con attenzione il processo legislativo senza deleghe popolari.
Una mossa studiata in vista delle europee
Il timing della dichiarazione non è casuale, Meloni usa anche la questione referendaria per rafforzare la propria immagine istituzionale. Evita lo scontro frontale, si tiene fuori dal merito dei quesiti, e al contempo mantiene la propria centralità politica, spostando l’attenzione sul suo ruolo di premier e non di militante. In questo modo parla a più pubblici: rassicura chi teme una deriva populista, rassicura Bruxelles sul rispetto dei processi parlamentari, e allo stesso tempo non si aliena completamente l’elettorato più critico verso la magistratura.