Amb.Melani: "Finita la guerra in Ucraina, toccherà a Onu e Osce gestire la pace"

- di: Leonardo Dini
 
L'ambasciatore Maurizio Melani, esperto di politica estera, docente di Relazioni Internazionali alla Link Campus University di Roma ed ex Direttore Generale del Ministero degli Esteri, è considerato uno dei massimi conoscitori della politica internazionale. A lui, già Ambasciatore Italiano in Etiopia, al Comitato Politico e di Sicurezza della UE e in Iraq, Italia Informa ha rivolto delle domande su alcuni degli scenari di crisi.

Intervista a Maurizio Melani

Per quanto riguarda la crisi ucraina, che ruolo possono avere l'ONU e Guterres in trattative future dopo la guerra?
Sino a che punto sono affidabili le iniziative negoziali di trattativa avviate pro domo sua da Erdogan? Qual è il fine ultimo di Erdogan?

Innanzi tutto occorre che sia posta fine all'aggressione. Questo dipenderà dai costi che, sul terreno e attraverso le sanzioni, potranno essere imposti alla Russia. Non soltanto l'ONU e le sue articolazioni che hanno avuto un ruolo importante nell'accordo sul grano, ma anche una organizzazione paneuropea come l'OSCE potranno avere un compito importante nella gestione della pace, sulla base dei principi dell'integrità territoriale degli Stati e dell'autodeterminazione dei popoli, ad esempio organizzando e conducendo referendum controllati internazionalmente nei territori contesi e occupati dalla Russia per far decidere alle popolazioni del loro destino. Erdogan persegue il fine di ridare una dimensione "imperiale" alla Turchia, perduta dopo la prima guerra mondiale, dal Nord Africa ai Balcani, dal Medio Oriente all'Asia Centrale. E' un disegno alquanto velleitario che lui persegue tuttavia con tenacia, ignorandone apparentemente i rischi. A questo scopo sviluppa una intensa attività diplomatica, non priva di contraddizioni: nella NATO, con la Russia, con Israele, con l'Iran. Se si opera con accortezza anche questo può tuttavia essere utile rispetto agli obbiettivi che vogliamo perseguire come lo è stato per il grano.

Ora l'Africa. Lei è stato anche ambasciatore in Etiopia: la crisi del grano ha aperto un vulnus nella già fragile situazione alimentare ed economica africana: cosa può fare l'Europa, assieme alla Fao, per sostenere l'Africa su questa crisi? Quali conseguenze ha la crisi del grano sulla Etiopia?

La crisi del grano è gravissima per l'Etiopia e per molti altri Paesi africani che negli ultimi anni sono diventati dipendenti in larga misura dalle importazioni ucraine e russe a causa degli effetti congiunti del grande incremento della popolazione, dei processi di desertificazione, dei fenomeni di "land grabbing" che riducono le superfici destinate alle produzioni alimentari per le popolazioni locali, della riduzione comparata delle importazioni dal Nord America e soprattutto dall'Unione Europea che ha ridotto le proprie eccedenze, in virtù di politiche di riduzione di sussidi e produzioni, anche per venire incontro a richieste degli stessi paesi in via di sviluppo, dirette a rendere competitive le proprie produzioni. Cosa può fare l'Europa? Innanzi tutto nell'immediato favorire e accompagnare intese per l'esportazione di grano dal Mar Nero, ben sapendo tuttavia che solo la fine della guerra può risolvere definitivamente questo aspetto del problema. Poi, aggiornare la politica agricola comune consentendo la ricostituzione di eccedenze per l'aiuto alimentare utili in circostanze come quella attuale, ma soprattutto rilanciare programmi per lo sviluppo dell'agricoltura locale affrontando al tempo stesso con gli altri grandi attori della comunità internazionale tutti i fattori che ne limitano la crescita, e quindi contrasto dei cambiamenti climatici e della desertificazione, gestione delle risorse idriche, contributi alla soluzione dei conflitti e al buon governo. Importante sarà anche sostenere programmi che incidano sulla dimensione demografica, come l'educazione alla salute riproduttiva, alla genitorialità responsabile e per l'empowerment della componente femminile della popolazione.

Sta rinascendo l'America Latina progressista laboratorio e modello ipoteticamente per l'Europa. Cosa pensa del ruolo emergente del mondo Latino-americano?
Non credo che l'America Latina possa essere un modello per l'Europa. E' però importante che nell'ultimo anno vi siano stati eletti Governi progressisti democratici, dai quali si attendono politiche di riduzione delle grandi diseguaglianze esistenti nei Paesi considerati, da realizzare in contesti di compatibilità economica e di consolidamento dello stato di diritto. E ciò dopo che, a seguito della stagione successiva alla fine delle dittature militari e alla prevalenza di Governi progressisti, vi era stata nel secondo decennio di questo secolo l'affermazione di Governi conservatori. Anche per l'Europa, ed in particolare per l'Italia con i suoi profondi legami umani con quel continente, è importante che l'America Latina diventi protagonista degli equilibri mondiali in evoluzione, nei quali accanto alla tradizionale, controversa, influenza degli Stati Uniti nell'America meridionale, si sta sempre più affiancando in quell'area quella della Cina. Cruciali saranno le elezioni in Brasile e la gestione dei suoi esiti.

Taiwan rischia di essere l'applicazione pratica della teoria del gatto e del topo di Mao: può riuscire Taiwan a sfuggire alla morsa cinese e come? Come possono gli Usa in concreto difendere, con la alleanza Quad, Taiwan in caso di attacco? La diplomazia può fare qualcosa?
La "One China policy" e il mantenimento dello status quo che l'ha accompagnata per diversi decenni, cui tutti continuiamo ad attenerci, aveva come corollario il principio "One China, two systems", affermato da Deng Hsiao Ping e dai suoi successori e ora reso non più credibile da Xi Jinping, dopo gli eventi di Hong Kong. Pechino e Taipei sono sempre più assertive e la tensione è enormemente cresciuta, anche a causa di iniziative che potevano essere evitate. E' da sperare che non vi siano, tra ora e novembre, incidenti che potrebbero innescare tragici sviluppi. Con il Congresso del PCC e le elezioni di mid-term americane in quel mese, la situazione si potrebbe in qualche modo chiarire considerato il rilievo che in questa fase hanno le vicende interne nei comportamenti di Stati Uniti e Cina. Nei rapporti con questo grande Paese occorrerà contemperare contenimento e coinvolgimento. Alleanze o fori di coordinamento, come il Quad, e deterrenza sono essenziali. Ma accanto a queste sono necessari anche contesti di dialogo e collaborazione, su temi di interesse comune, come una regolamentazione equa del commercio e degli investimenti che salvaguardino le nostre esigenze di sicurezza, sotto ogni profilo, evitando un collasso dell'economia mondiale, dalle conseguenze devastanti, il contrasto dei cambiamenti climatici e la gestione di crisi regionali, in aree nelle quali la pace e processi di stabilizzazione corrispondono ad esigenze di entrambi. E tutto questo non rinunciando mai a manifestare le nostre posizioni in materia di diritti umani.
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