Letta e il giudizio sui calciatori in ginocchio: un'invasione di campo

- di: Diego Minuti
 
Ognuno è padrone di pensarla come vuole e di difendere le proprie idee, anche a costo di scagliarsi - solo verbalmente, si spera - contro chi ha un punto di vista diverso. Ma su questo, su cui - ad eccezione dei nostalgici del pensiero unico ed imposto - crediamo tutti siano d'accordo, riusciamo a crearci sempre un terreno di confronto, che quasi sempre diventa di scontro. L'ultimo esempio di questo vezzo, che comunque non è solo italiano, del parlare e disquisire su tutto sono le reazioni alla scelta di cinque calciatori della nostra Nazionale di inginocchiarsi, come stavano facendo quelli del Galles e lo stesso arbitro, come segno di partecipazione alla crociata contro il razzismo, che non attecchisce solo nei Paesi in cui la forma di governo è spesso l'oligarchia, se non peggio.

Che il non inginocchiarsi dei sei azzurri sia stato frutto di un pensiero è normale, perché, come detto, ognuno deve potere fare solo le cose in cui crede, uscendo dal manierismo o dal conformismo imperante. Ma che questa scelta divenga oggetto di analisi e scandagli delle profondità dell'umano pensiero ci sembra esagerato, o forse addirittura fuori di luogo. Per questo sono da rispettare le due visioni del problema razzismo, sia di chi lo ha contestato inginocchiandosi che di quelli che preferiscono - semmai ne hanno - esprimere le loro idee in altro modo.

Ma che chi non ha poggiato il ginocchio a terra sia messo all'indice, quasi avesse palesato la sua iscrizione al Ku Klux Klan, sembra esagerato e comunque poco rispettoso dell'altrui pensiero.
E poi c'è il politico che ritiene di dire la sua - rispettabilissima - su un argomento che dovrebbe essere sportivo e comunque attinente ai singoli, sostenendo che i cinque che si sono inginocchiati dovevano essere invece undici e soprattutto tutti convinti.
Il politico in questione è il segretario del Pd, Enrico Letta, che, in una trasmissione televisiva, ha detto testualmente ''Vorrei fare un appello ai nostri giocatori: che si inginocchino tutti, francamente l'ho trovata una scena pessima''.

Una presa di posizione, rispettabilissima, che però è tracimata in un giudizio che poco ha a che vedere con il rispetto dell'altrui pensiero. È purtroppo uno spartito che ci ritroviamo sempre a dovere leggere e accade quando un uomo politico decide di avere la facoltà di esprimersi su tutto lo scibile umano, come sta dimostrando il proliferare di esponenti di partito che si sono scoperti virologi o infettivologi, come se il fatto d'essere parlamentari (o anche presidenti di Regione) li autorizzi a disquisire di materie che ignorano totalmente.
Ma Letta ha fatto cosa diversa perché, non da uomo di cultura quale è, ma da segretario di una forza politica e di governo, ha usato - nei confronti di chi non la pensa come lui, peraltro in una materia che attiene alla sensibilità del singolo e su cui non si può fare calare un pensiero senza alternative - un aggettivo che oltre a essere eccessivo sembra il giudizio di un maestro sic et simpliciter e non di un maestro del pensiero quale ci si dovrebbe attendere dal segretario di un partito dalle origini nobili ancorché diverse (Pci e Dc).

Il Letta di oggi sembra impegnato nel volere ideologizzare tutto e nel volere imporre, al suo partito (e questi sono fatti interni al Pd), ma anche al governo, una agenda in cui, tra ius soli, voto ai sedicenni, 'dote ai ragazzi' e Back Lives Matter, sembrano non trovare posto, se non di striscio, tematiche legate alla tradizione della sinistra. La lunga e proficua permanenza di Letta a Parigi ha restituito al panorama politico nostrano più un ideologo che non un uomo di partito, perché le due cose non sempre coincidono. Forse, piuttosto che un 'segretario zen', il Pd aveva bisogno di uno che sapesse sporcarsi le mani e non combattesse le sparate di Salvini solo a colpi di fioretto.

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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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