Legge di Bilancio, il rush finale in Senato: tensioni tra opposizioni e maggioranza

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 

È una corsa contro il tempo quella che oggi porterà la Legge di Bilancio del 2025 in Senato per la sua ultima tappa. Dopo l’approvazione alla Camera la scorsa settimana, il testo approda oggi in Commissione Bilancio e sarà in Aula dalle 14. Il via libera definitivo è atteso per domani, in un iter che, nonostante la presenza di oltre 800 emendamenti presentati dalle opposizioni, appare ormai blindato. Lo scenario, ancora una volta, è quello di un Parlamento che viaggia al ritmo serrato di una fiducia praticamente annunciata, tra accuse di "monocameralismo di fatto" e critiche per il mancato confronto.

Legge di Bilancio, il rush finale in Senato: tensioni tra opposizioni e maggioranza

«È un inutile tour de force – attacca la dem Chiara Braga perché non si potrà cambiare una virgola a una legge ingiusta che scontenta tutti, chi vive tra mille difficoltà e chi vuole fare impresa». Il malcontento esplode anche tra gli esponenti delle forze minori. Luigi Marattin, ora nel Gruppo Misto, non risparmia le provocazioni: «Ci vogliono sei mesi per abolire Camera e Senato e creare un'unica assemblea nazionale: forse sarebbe più onesto». Più cupo il commento di Riccardo Magi (+Europa), che parla di «ennesimo chiodo sulla bara della democrazia parlamentare».

La maggioranza, però, difende compatta il lavoro svolto. Maurizio Lupi, leader di Noi Moderati, definisce la manovra «equilibrata, orientata alla crescita» e sottolinea l’importanza di misure come il taglio del cuneo fiscale, l’aumento degli stipendi e il sostegno alle famiglie, portato a 2 miliardi di euro. Più pragmatico Nicola Calandrini, presidente della Commissione Bilancio e senatore di Fratelli d’Italia, che ammette le criticità del processo ma le minimizza: «Questo approccio accade da molti anni, è auspicabile che cambi, ma al momento occorre farsene una ragione».

La legge in numeri: 30 miliardi per famiglie, lavoro e imprese

La terza manovra targata Meloni muove risorse per 30 miliardi di euro, indirizzate soprattutto verso lavoratori e famiglie con redditi bassi. Tra le principali voci: il rafforzamento del Fondo sanitario nazionale, il rinnovo dei contratti del pubblico impiego, un aumento del 2,2% delle pensioni minime e l’avvio degli investimenti per il Ponte sullo Stretto, con una previsione di spesa di 1,4 miliardi fino al 2032.

Le imprese trovano sostegno in incentivi e promesse di ulteriori riduzioni fiscali. Antonio Tajani, vicepremier, ribadisce l’impegno verso il ceto medio e promette una riduzione rapida dell’Irpef, evidenziando la volontà di «continuare ad abbassare le tasse per chi intraprende».

Non mancano però i nodi irrisolti. La struttura della manovra è oggetto di critiche non solo per il metodo di approvazione accelerata, ma anche per il permanere di diseguaglianze percepite. La riduzione del cuneo fiscale, per esempio, pur essendo strutturale, non riesce a soddisfare pienamente le richieste dei sindacati, mentre gli investimenti per il Ponte sullo Stretto continuano a suscitare perplessità sia per i costi che per le priorità assegnate.

Un Parlamento in affanno

Il dibattito sulla Legge di Bilancio riaccende il confronto sul ruolo delle istituzioni parlamentari. L’opposizione accusa il governo di svuotare il dibattito democratico, mentre dalla maggioranza si guarda al pragmatismo come necessità per evitare l’esercizio provvisorio. Eppure, come sottolinea lo stesso Calandrini, «si può tornare alle due letture piene dei rami del Parlamento», a patto di intervenire con due ddl distinti sui regolamenti di contabilità e sul pareggio di bilancio.

Domani, salvo sorprese, il Senato chiuderà il cerchio con un voto di fiducia. L’ultima pagina di questa manovra si scriverà in una manciata di ore, ma i temi che solleva sembrano destinati a rimanere sul tavolo ancora a lungo.

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