I numeri dell’Istat
Il mercato del lavoro italiano chiude luglio 2025 con un segnale positivo. Secondo i dati diffusi dall’Istat, il numero degli occupati è superiore a quello di luglio 2024 dello 0,9 per cento, pari a 218 mila unità in più. L’aumento coinvolge uomini e donne, spinge soprattutto nella fascia dei 25-34 anni e tra gli over 50, mentre si registra un calo nelle altre classi d’età. Un segnale che il lavoro non manca, ma che si concentra in segmenti precisi della popolazione attiva.
Tasso di occupazione in aumento
Il tasso di occupazione, su base annua, guadagna 0,4 punti percentuali. Un progresso non marginale, che certifica una maggiore partecipazione al mercato del lavoro. In parallelo cala in maniera netta il numero di persone in cerca di occupazione: –6,9 per cento, pari a 114 mila individui in meno rispetto a un anno fa. Un indicatore che testimonia una riduzione della pressione sui centri per l’impiego e sulle politiche attive.
Inattivi in flessione
Un altro segnale incoraggiante riguarda gli inattivi tra i 15 e i 64 anni: il numero scende dello 0,7 per cento, vale a dire 81 mila unità in meno. In altre parole, aumenta la quota di cittadini che decide di entrare o rientrare nel mercato del lavoro. Un dato che, da solo, indicherebbe un contesto favorevole.
La fotografia e i suoi limiti
Dietro ai numeri incoraggianti si nasconde però un quadro più complesso. La crescita dell’occupazione si intreccia con le ombre di una congiuntura industriale difficile. L’Italia del settembre 2025 deve infatti fare i conti con vertenze aperte in tutti i settori strategici: dalla siderurgia all’automotive, dall’hi-tech alla difesa. Segnali di fragilità che mettono in discussione la capacità del Paese di trasformare i progressi occupazionali in crescita stabile.
L’incognita fabbriche
Il caso Ilva resta irrisolto. A metà settembre si attende l’individuazione del nuovo socio privato, con in corsa Baku Steel, Jindal e Bedrock. Nel frattempo i sindacati avvertono: senza certezze su decarbonizzazione e impianto di preridotto, il futuro dello stabilimento di Taranto resta sospeso. Anche Stellantis alimenta preoccupazioni: calo dei volumi produttivi, gigafactory di Termoli senza gambe, Pomigliano e Cassino in difficoltà. Sono nodi che rischiano di pesare sugli stessi numeri occupazionali diffusi dall’Istat.
Il ruolo delle grandi aziende
La vicenda Iveco rappresenta invece un segnale diverso. La cessione della parte difesa a Leonardo, vista con favore da governo e analisti, è interpretata come garanzia strategica: il know-how militare resta sotto controllo nazionale, mentre l’alleanza con Rheinmetall rafforzerebbe l’asse europeo. Anche in un contesto complicato, dunque, esistono poli in grado di offrire stabilità e presidio tecnologico.
Consumi e domanda interna
L’occupazione cresce ma i consumi restano fermi. L’inflazione ufficiale è scesa all’1,6 per cento, ma il carrello della spesa segna +3,5 per cento. La percezione dei cittadini è ancora quella di prezzi elevati, e la propensione al risparmio si attesta al 9 per cento. In questo scenario, l’aumento degli occupati non si traduce automaticamente in più spesa o in maggiore fiducia delle famiglie.
Crescita vicina allo zero
Le previsioni di Pil per il terzo trimestre restano deboli: tra lo 0 e il +0,1 per cento. Gli analisti riconoscono all’Italia stabilità politica e prudenza nei conti pubblici, ma giudicano insufficienti gli strumenti messi in campo per stimolare la crescita. Emblematico il caso della Transizione 5.0: sei miliardi stanziati, ma – secondo le stime più ottimistiche – a fine 2025 le imprese ne avranno utilizzato appena uno.
Una sfida ancora aperta
L’aumento dell’occupazione certificato dall’Istat è dunque un segnale positivo, ma non basta da solo a dissipare le ombre. Senza una ripartenza solida dei consumi e un chiarimento sui grandi dossier industriali, il rischio è che i progressi restino parziali. L’Italia di settembre 2025 appare come un Paese in bilico: più lavoratori, ma fabbriche incerte; più occupati, ma consumi congelati. Una dinamica che rende ancora più urgente il ruolo del Pnrr e delle politiche industriali nazionali come strumenti per trasformare i numeri statistici in vera crescita economica.