Tra negozi chiusi, slogan e nervi scoperti, Teheran prova a tappare la falla economica mentre da Washington torna il linguaggio delle “opzioni militari”.
Il rial in caduta e la protesta che si riaccende
In Iran il termometro sociale è spesso la cassa del negozio: quando i prezzi cambiano nel giro di poche ore, la pazienza finisce prima delle scorte.
Negli ultimi giorni la svalutazione del rial ha accelerato e, con essa, è tornata la scena che a Teheran conoscono fin troppo bene:
serrande abbassate, commercianti in strada e un malessere che si sposta rapidamente dai mercati alle università.
Il simbolo è il Gran Bazar, cuore economico e politico della capitale: quando si ferma lì, il segnale è nazionale.
Video e racconti rimbalzati online mostrano cortei e cori che mescolano rabbia economica e contestazione politica.
Il punto, però, non è solo il cambio in sé: la moneta debole entra in ogni scontrino.
Importazioni più care, materie prime che schizzano, e un effetto domino su alimentari, farmaci e beni di uso quotidiano.
In parallelo, si allarga il terreno del mercato informale: dal cambio “di strada” ai medicinali difficili da trovare a prezzo calmierato.
La scossa ai vertici: la banca centrale sotto pressione
Quando l’onda arriva alle istituzioni, le reazioni diventano più nette.
In queste ore a Teheran si registra un passaggio cruciale: il vertice della banca centrale è stato travolto dalla crisi di fiducia,
mentre il governo prova a mostrare controllo con misure tampone e messaggi pubblici.
Il presidente Masoud Pezeshkian ha cercato un doppio registro: fermezza sull’ordine pubblico e apertura sulla dimensione sociale.
In sintesi, la linea raccontata è: ascolto sì, destabilizzazione no.
E la macchina dello Stato si muove tra incontri con categorie economiche e indicazioni operative ai ministeri, mentre nelle strade resta un attrito quotidiano.
Sullo sfondo pesa anche un altro fattore: l’inverno e le difficoltà energetiche.
In alcune aree sono state annunciate chiusure temporanee o riduzioni di attività per contenere i consumi, un dettaglio tecnico che però,
in un’economia surriscaldata, diventa subito un detonatore di nervosismo.
Perché crolla la moneta: sanzioni, aspettative e panico da prezzi
La crisi del rial ha un motore che non è mai spento: le sanzioni e l’isolamento finanziario.
Ma a spingere davvero l’acceleratore, spesso, è la psicologia collettiva dell’inflazione:
se tutti pensano che domani costerà di più, oggi comprano tutto ciò che possono. E così domani costa davvero di più.
In questo circuito le banche centrali hanno strumenti limitati, soprattutto quando la fiducia è corrosa.
Aumentare i tassi può frenare la domanda, ma non crea dollari.
Immettere valuta sul mercato può rallentare la corsa, ma rischia di bruciare riserve e credibilità.
E se il cambio “ufficiale” diverge troppo da quello reale, il mercato parallelo diventa il vero listino del Paese.
La politica estera entra nel portafoglio: Trump torna a minacciare
Come se il fronte interno non bastasse, la tensione geopolitica torna a bussare con toni fragorosi.
Donald Trump, dopo colloqui con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, ha rilanciato l’idea che gli Stati Uniti potrebbero colpire di nuovo l’Iran
se Teheran dovesse riattivare programmi considerati “sensibili”, in particolare sul versante nucleare e dei missili balistici.
Da Teheran la risposta è stata dura.
Pezeshkian ha avvertito che qualsiasi aggressione riceverebbe una reazione pesante:
"La risposta sarebbe dura e scoraggiante".
Il messaggio è chiaro: alzare la soglia militare significa alzare anche la soglia del rischio economico, perché ogni minaccia si trasforma in
aspettative peggiori sul cambio, sugli scambi e sulla stabilità.
Nel frattempo, si muovono anche attori terzi.
Da Mosca è arrivato un invito alla prudenza e al dialogo: la Russia ha chiesto di evitare l’escalation,
ricordando (senza dirlo apertamente) quanto una nuova crisi possa incendiare l’intera regione.
Diplomazia o braccio di ferro: il nodo dei negoziati
In questo scenario di nervi tesi, un fronte diplomatico prova a restare visibile.
Il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha spinto pubblicamente per riaprire una finestra negoziale sul dossier nucleare,
sostenendo che esistono condizioni per un percorso politico, purché siano riconosciute alcune richieste iraniane.
Tradotto: Teheran prova a far passare l’idea che la crisi economica non si risolve solo con misure interne,
ma con una riduzione della pressione esterna e con canali commerciali meno strozzati.
Washington e i partner regionali, al contrario, leggono la questione come un problema di sicurezza prima ancora che di economia.
E nel mezzo ci finisce la popolazione, che paga l’attrito geopolitico con lo scontrino del supermercato.
Che cosa può succedere adesso
Le prossime settimane ruotano attorno a tre variabili.
Primo: la capacità del governo di evitare che la protesta economica diventi un’ondata politica più ampia.
Secondo: la credibilità delle mosse di banca centrale e governo su prezzi e cambio, perché senza fiducia ogni annuncio vale poco.
Terzo: la traiettoria esterna, cioè se prevarrà il linguaggio delle minacce o quello dei tavoli negoziali.
Una cosa, però, è già evidente: quando la moneta scivola, scivolano anche i confini tra economia e geopolitica.
In Iran il rial non è solo valuta. È un voto quotidiano di fiducia. E in questo momento quel voto sta diventando una contestazione.