NPL, Patrizio Messina: "Valutare il ricorso alla bad bank alla luce dell'attuale contesto economico"
Da qualche tempo si è tornato a parlare di bad bank come di uno strumento di cui gli istituti di credito europei possono dotarsi per essere aiutati ad attenuare gli effetti negativi nella gestione dei crediti deteriorati, quelli che sinteticamente vengono definiti con gli acronimi Npl (Non-Performing Loans) e Utp (Unlikely to Pay).
Su questo argomento, rispondendo ad alcune nostre domande, è intervenuto l'avvocato Patrizio Messina, head del finance team italiano dello studio legale internazionale Orrick e responsabile delle sedi europee.
L'intera intervista all'avvocato Messina sarà pubblicata sul prossimo numero della rivista Italia Informa.
Avvocato Messina, nell’ultimo periodo è ritornato in auge il dibattito sul ricorso alle bad bank. Qual è la ragione?
"La bad bank (intesa come veicolo societario finanziario europeo in cui far confluire gli asset tossici di banche europee per alleggerirne i bilanci), oltre ad un dibattito sui meccanismi di funzionamento (che comportano una complessità tecnica e regolamentare di non poco rilievo) ha sicuramente un riflesso politico (forse anche sociale) che richiede di essere affrontato con un approccio integrato e sistemico e con un’appropriata visione della dimensione europea. Andando per ordine, in via preliminare, deve essere valutato quale sia la fattispecie giuridicamente ed economicamente più efficace di bad bank alla luce dell’attuale contesto economico. Istituire un polo bancario pubblico che acquisti crediti deteriorati dalle banche dei singoli Paesi è l’approccio risolutivo? O magari sarebbe più proficuo per i singoli Paesi un efficientamento della pubblica amministrazione, la creazione di infrastrutture adeguate e di una politica di investimenti in innovazione e conoscenza? E poi, tecnicamente ed entrando più nel dettaglio, bisognerebbe delineare quali siano i soggetti europei che dovrebbero finanziare la bad bank e con quali percentuali di sottoscrizione; ci si immagina un coinvolgimento del mercato? E ancora, cosa succederebbe se, in conseguenza del Covid-19, i valori dei cespiti ceduti dovessero subire un nuovo calo? Domande complesse con implicazioni regolamentari non banali, in quanto a porre problematiche di organicità regolamentare non è tanto la creazione di una bad bank, quanto piuttosto negli ostacoli che le attività di gestione di NPL ancora incontrano".
Quali interventi che si renderebbero necessari, oltre alla creazione di una bad bank, per uno smaltimento più rapido dei crediti deteriorati?
"Oltre ad una maggiore flessibilità dell’applicazione della disciplina sugli aiuti di Stato ai sensi del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, potrebbe essere utile intervenire sulle previsioni in materia di calendar provisioning della Crr (il Regolamento dei requisiti patrimoniali, che riguarda le banche, ndr) forse troppo afflittive e non più congrue al periodo storico che stiamo vivendo. Inoltre, si potrebbero magari strutturare operazioni di cartolarizzazione di bad bank a partecipazione statale con una ponderazione del rischio – anche delle note junior – più favorevole o un meccanismo automatico di abbinamento della Gacs (le garanzie della cartolarizzazione delle sofferenze, ndr) a tutte le note senior di una struttura di cartolarizzazione pensata per una bad bank. In ultimo, sarebbe certamente la fase giusta per accelerare il processo di approvazione della proposta di direttiva europea in tema di NPL, che dovrebbe intervenire principalmente su tre binari paralleli: l’introduzione di un regime europeo relativo alle società di gestione dei crediti deteriorati, la possibilità di acquistare i crediti anche sul mercato secondario e la previsione di un obbligo – a livello nazionale – di predisporre almeno una procedura stragiudiziale di escussione delle garanzie dei crediti".
Quanto peso ha l’approccio politico-negoziale degli Stati membri in materia di politica monetaria?
"Tutto si potrebbe attuare una volta smarcato l’aspetto politico che, quanto meno da un punto di vista negoziale all’interno dell’Unione, non può essere tralasciato. E infatti, da un lato la Germania e i Paesi nordici, sono da sempre poco entusiasti nei confronti di politiche economico-finanziarie che prevedano una condivisione di responsabilità con altri Paesi: dall’altro, vi sono Stati, quali Irlanda e Spagna, che già in passato si dimostrarono a favore di questo tipo di soluzione. E, infine, molte sono ancora le posizioni mediane di chi ritiene che le Bad Bank nazionali sarebbero maggiormente efficaci, ma che un approccio sistematico e condiviso sulla struttura e gestione delle stesse aiuterebbe una ripresa più rapida".