Mediobanca, Pigozzi: "Le aziende di oggi non possono trascurare il valore della comunicazione"
L’unica persona italiana inserita dal prestigioso PRovoke, che ogni anno stila l’attesa classifica del gotha mondiale della comunicazione corporate, tra i 100 comunicatori del mondo più influenti. È Lorenza Pigozzi, Head of Group Communications and Institutional Relations Director di Mediobanca. In questa intervista le strategie, le scelte, le convinzioni, lo stile e i progetti che l’hanno portata a un tale successo.
Dottoressa Pigozzi, per il secondo anno consecutivo lei è stata inserita - unica presenza italiana - nel prestigioso PRovoke’s Influence 100, l’attesa classifica che racchiude il gotha della comunicazione corporate a livello globale. In altre parole, è tra i 100 comunicatori più influenti del mondo. Cosa significa per lei? Cosa prova?
"È un riconoscimento importante per Mediobanca. Senza il patrimonio di esperienze che ho maturato non sarebbe stato possibile: devo molto agli insegnamenti ricevuti. Contrariamente a quanto la parola “provoke” evochi in italiano, vivo la comunicazione come una leva capace di “provocare/suscitare” comportamenti, reazioni, percezioni, anche di lungo termine. Per questo reputo che ogni azienda, a prescindere dalle dimensioni, non ne possa trascurare il valore in ogni sua declinazione, interna o esterna. Ciò vale ancora di più in momenti di forte crisi, come l’attuale".
PRovoke la definisce una ‘lifer’ di Mediobanca. Una parola che i dizionari traducono come ‘qualcuno che dà tutto per qualcosa’. È Una definizione che la descrive bene?
"Se il “qualcosa” a cui si riferisce nella sua domanda è il bene dell’azienda per cui lavoro, allora mi ci ritrovo. Un buon comunicatore può svolgere bene la propria missione solo attraverso una profonda conoscenza dell’azienda, delle sue origini, del suo DNA e dei suoi valori. Punti cardine che sono stati fondamentali per rafforzare la reputazione di Mediobanca e valorizzare il modello di business attraverso una comunicazione autorevole, coerente, costante e trasparente".
Lei ha affermato che “la comunicazione ha un ruolo strategico nel successo di ogni azienda e come tale non può essere usata in termini tattici”. Può entrare nel dettaglio di questa affermazione? Quale ruolo giocano oggi, in tutto ciò, i social - come acceleratore disintermediato delle notizie - e quale i media tradizionali? E come prevede per entrambi lo sviluppo in futuro?
"La reputazione rappresenta per le aziende un asset intangibile capace di garantire vantaggi competitivi e influenzare le performance, da un punto di vista finanziario e sociale. Ed è il frutto di una gestione corretta, autentica e coerente costruita negli anni. La comunicazione, in quanto strategica, gioca in questo percorso un ruolo molto importante e continuativo: per valorizzarne e amplificarne i traguardi ma anche per prevenire o ammortizzare eventuali “incidenti”, spesso capaci di distruggere in pochi minuti quanto costruito nel tempo. E questo è ancor più vero con l’avvento del digitale e dei canali social, in cui sono “inciampati” diversi storici e famosi brand italiani e internazionali. In un contesto in continua evoluzione è quindi necessario rimodulare strategie, esplorare stili e canali, sperimentare e anche ripensare i processi. Le architetture digitali fanno parte ormai da parecchi anni del nostro presente e in quanto tali vanno adeguatamente integrate nelle strategie di comunicazione. È quindi fondamentale mappare e ascoltare le varie piattaforme social per poter efficacemente indirizzare la comunicazione, instaurare un “dialogo” perché il contesto è disintermediato per cui tutti possono intervenire. Contro intuitivo ma interessante: i “media tradizionali” non sono morti, i dati del Globalwebindex sul consumo dei media sono chiari in tal senso per cui vanno utilizzati in modo preponderante per la creazione di strategie di comunicazione efficaci".
Nell’introduzione al Rapporto PRovoke 2020 si evidenzia come “quest’anno di crisi ha elevato l’importanza della funzione di comunicazione e i 100 nomi nella lista 2020 forniscono un’ampia prova di questo riconoscimento”. Come ha influito e sta influendo la pandemia da Covid-19 sotto il profilo della comunicazione? Lei ha affermato che “la reputazione guiderà gli investimenti del 2021”.
"La crisi sanitaria ha reso ancor più attuale il primo assioma della comunicazione definito da Paul Watzlawick: “non si può non comunicare”. La pandemia è stata subito anche infodemia e ha imposto alle aziende un crescente impegno nell’attività di comunicazione con l’obiettivo di colmare il gap relazionale creatosi durante i periodi di lockdown. La vicinanza a clienti, stakeholder e dipendenti dimostrata durante la pandemia avrà un impatto importante sulla reputazione futura delle aziende, e in questo la comunicazione sarà la leva strategica sulla quale investire. Vorrei in particolare sottolineare l’importanza della comunicazione interna ai tempi del Covid-19. In un’indagine recentemente svolta dalla nostra Area Studi su un campione di medie imprese italiane, è emerso come ben il 76% stia puntando sui dipendenti quale leva per contenere i danni e avviare le attività di rilancio. È importante sottolineare che l’attività di comunicazione verso i dipendenti supera in termini di priorità anche la comunicazione verso i clienti, che raggiunge comunque la considerevole soglia del 45%. Ciò appare coerente con il diffuso timore di disengagement dei dipendenti che gli imprenditori percepiscono come conseguenza delle ampie turnazioni e della desuetudine con la disciplina imposta dai ritmi quotidiani regolati dalla presenza fisica e dalla interazione diretta con i colleghi".
Come, in termini di strategie comunicative, gestire le crisi e salvare la reputazione. Ci sono aziende che sono andate a terra a causa delle crisi più disparate (prodotti difettosi, perdita della ‘reputation’ per l’infedeltà dei manager e così via, in una casistica infinita), altre che invece sono riuscite a salvare la reputazione. Come si muovono davanti a eventi del genere professionisti come lei quando sono chiamati a salvare la ‘reputation’ di un’azienda dopo un evento critico?
"La crisi è una notizia negativa. È un avvenimento improvviso e imprevedibile causato da fattori di tale impatto da pregiudicare in vari casi anche seriamente la continuità dell’attività aziendale. E siccome è una notizia, la capacità di prevedere, programmare e gestire la comunicazione è l’asset più importante di cui le aziende si devono dotare. Una bassa preparazione equivale a una minore capacità di recupero, a un maggiore danno reputazionale e a un maggior investimento per ricostruire trust e credibilità. Fondamentali sono la capacità e la velocità di reazione: è indispensabile che la notizia venga veicolata e guidata in modo coerente verso i principali gruppi di interesse e quindi tutti i media on e offline. Solo attraverso una gestione tempestiva, centralizzata, trasparente e onesta è possibile gestire un flusso di comunicazione virtuoso, trasformando il livello di affidabilità della nostre aziende. Banditi i “no comment”. Le crisi confermano la strategicità della comunicazione per ristabilire ordine in una situazione che rischia di degenerare. E come diceva Albert Einstein “la crisi porta progressi”, perché si esce sempre da una crisi più maturi e preparati. Tra i temi che avranno sempre più impatto sulla reputazione corporate aziendale vi sono la sostenibilità e la security la sua deriva digitale del cybercrime. Due argomenti uguali per importanza e contrari per valori, se ben comunicati lavorano al rafforzamento della reputazione. La sostenibilità per valorizzare l’impegno verso le persone, l’ambiente e il sociale; il cybercrime diventa importante in questa fase di digitalizzazione delle imprese perchè vuol dire capacità preventiva e di gestione della comunicazione in caso di violazione della sicurezza aziendale. In sintesi affrontare correttamente questi due temi sul fronte della comunicazione equivale a valorizzare il patrimonio informativo e umano aziendale".
Collegandoci alla domanda precedente, lei ha paragonato un’azienda a un’auto da corsa, che “non deve scendere in pista senza avere la certezza di poter reggere la competizione, perché in caso contrario si rischia l’effetto indesiderato di amplificare la crisi invece di stopparla”. Nella comunicazione quali sono i rischi più gravi di una discesa in pista prematura?
"Se continuiamo nel paragone dell’auto da corsa, anche in comunicazione, una discesa in campo prematura senza aver attivato tutti gli stress test di qualità e tenuta, rischia di causare un’uscita di strada, un incidente che inevitabilmente è sotto gli occhi di tutti per cui è difficile nascondersi e il giudizio, generalmente negativo, è accelerato. È un boomerang. Se al contrario quell’auto è stata costruita per correre in formula 1 la sua ripresa dopo l’incidente avrà delle basi solide per essere rimessa in pista".
È direttamente responsabile delle molteplici leve della comunicazione e delle relazioni istituzionali del Gruppo Mediobanca. I suoi progetti spaziano dalle media relations alle campagne pubblicitarie, dalla strategia dei canali social che vanno a disegnare lo storytelling aziendale, ad accrescere la brand reputation, a salvaguardare l’eredità culturale di una banca che è sempre stata al centro del sistema economico-finanziario del Paese. Tra tanto da fare, com’è la sua giornata tipo?
"Non esiste una giornata tipo perché mi confronto con differenti interlocutori in un gruppo con diversi brand. Questo significa che ogni giorno abbiamo attività “running”, progetti nuovi che partono e a volte temi imprevisti da gestire. Essere focalizzata sugli obiettivi mi permette di incanalare correttamente le mie energie, dedicando il giusto tempo ai miei “progetti di vita”. In questi rientra il mio impegno professionale, ma prima ancora il mio ruolo di mamma. Anche nelle giornate più piene non faccio mancare tempo e attenzioni ai miei figli, sono allo stesso tempo la mia marcia in più e il mio diario quotidiano, impossibile sovrapporlo con il calendar di outlook. Il terzo capitolo è dedicato a me stessa, yoga, bici da corsa, e sci, sport che mi portano a contatto con la natura, e poi ciò che mi fa stare bene, una buona lettura, la compagnia di amici e la nostra casa in campagna".
Dal 2013, cioè da quando è diventata direttore della comunicazione del Gruppo, ha gestito la comunicazione di tanti passaggi delicati: dallo sbarco nel mondo private e wealth del marchio Mediobanca, al delicati passaggi di governance dell’Istituto nell’evoluzione degli equilibri azionari, alla crescita della visibilità internazionale di Mediobanca supportando attraverso la comunicazione la crescita del business delle filiali estere. E molto altro ancora. Quale è stato il momento più duro?
"Non ho mai pensato al momento più duro, ricordo spesso i momenti più lunghi come quelle salite che non finiscono mai".
L’abilità che tutti le riconoscono è quella di saper dosare al meglio la visibilità della banca e dei suoi manager selezionando con cura contesti e modalità. È questo il suo segreto?
"Essere sovraesposti non è sempre la strategia vincente, soprattutto in una società già satura di informazione. In alcuni contesti e situazioni il silenzio è più potente e eloquente di qualsiasi comunicazione. Penso sia questa la differenza tra visibilità e reputazione. Saper indirizzare correttamente gli sforzi, ponderando messaggi e modalità di interazione sulla base del canale e del target di riferimento, saper discernere, scegliere e segmentare sono capacità imprescindibili soprattutto quando si lavora in un’organizzazione complessa".