Intervista a Gianluca Comin, Fondatore e Presidente Comin & Partners

- di: Germana Loizzi
 

Presidente Comin, il suo è un gruppo importante che opera nella comunicazione, nelle relazioni con i media e con le istituzioni, nelle strategie digitali e nel crisis management. Ma il valore aggiunto, il ‘quid’ che caratterizza e dà valore aggiunto al vostro servizio è, come lei ha affermato più di una volta, “un approccio strategico e integrato alle attività di comunicazione”. Che significa in concreto e quale è il ‘plus’ che un vostro cliente riceve da questo approccio così innovativo?
I comunicatori, oggi, si trovano ad affrontare sfide sempre più complesse: i cittadini ed i consumatori sono sempre più connessi ed esigenti, rifiutano le intermediazioni tradizionali e si informano in modalità sempre più indipendenti. A questa realtà le imprese e le istituzioni più avvedute rispondono con un approccio strategico, che analizza i bisogni di informazione e utilizza tutti gli strumenti utili a raggiungere i propri stakeholder. Insomma, solo una comunicazione integrata è in grado di rispondere alla complessità e ad offrire quell’efficacia che i vecchi metodi non hanno più. Processi come lo stakeholder engagement, assieme all’utilizzo sinergico di comunicazione, media relations, public affairs e digital Pr sono il modo più innovativo di rispondere alla complessità in cui si trovano le imprese, i manager e le istituzioni. La scelta per noi vincente è stata di mettere insieme professionisti di grande esperienza come i miei 4 partner e un gruppo di brillanti giovani selezionati accuratamente. In quattro anni abbiamo gestito circa 300 progetti e siamo felici di avere un costante rinnovo anno dopo anno da parte della maggior parte dei nostri clienti.

Il settore della comunicazione, intesa a 360 gradi, da una decina di anni è in una profonda trasformazione, sia sul fronte della domanda che su quello dell’offerta. Oggi sul mercato vivono, accanto a proposte innovative, anche proposte vecchie, non aggiornate, destinate evidentemente a scomparire. Quali sono stati in questi 10 anni i cambiamenti più profondi nei parametri della comunicazione? E quali caratteristiche vengono richieste agli operatori di comunicazione che 10 anni fa non venivano chieste? In questo contesto, in un team innovativo come il vostro, che indubbiamente fornisce un servizio di eccellenza, si tratta di coordinare e miscelare professionalità specifiche molto diverse, oppure tutti sono in qualche modo intercambiabili?
Gli ultimi 10 anni per la comunicazione sono stati una rivoluzione copernicana. La crisi della pubblicità tradizionale, il declino dei media cartacei, l’avvento del digitale prima, dei social, dei big data, degli smartphone hanno costretto le imprese a ripensarsi. Io non sono tra quelli che ritengono che ci sia una cesura netta tra il mondo di prima, quello di oggi e quello di domani. E’ una lunga transizione di passaggio, nella quale non puoi abbandonare i vecchi strumenti, ma non puoi nemmeno trascurare i nuovi e quelli che verranno. Questo perchè la società non è fatta solo di vecchi o di giovani e le maggior parte delle imprese e delle istituzioni devono parlare a diverse audience, anzi ad ogni singola persona che ha una dieta informativa diversa una dall’altra. Questo si riflette anche nell’organizzazione di uno studio come Comin & Partners, dove non si lavora per accounting ma per gruppi di progetto e dove il mix di competenze ed esperienze è un grande valore aggiunto per i clienti. 

L’importanza della comunicazione, oggi è molto aumentata rispetto al passato perché il mercato è più concorrenziale e gli standard che chiedono i cittadini alle imprese – e non solo - che forniscono beni e/o servizi è certamente più elevato ed esigente, ha una sua cartina di tornasole, ossia le strategie comunicative per gestire una crisi e salvare la reputazione. Ci sono aziende – ma anche istituzioni - che sono andate a terra a causa delle crisi più disparate (prodotti difettosi, perdita della ‘reputation’ per l’infedeltà dei manager e così via, in una casistica infinita), altre che invece sono riuscite a salvare la reputazione. Come si muovono davanti a eventi del genere professionisti come voi, chiamati a salvare la ‘reputation’ di un’azienda o di un’istituzione dopo un evento critico?
La comunicazione di crisi è la mia passione. Nel libro “L’impresa oltre la crisi” (Marsilio, 2016) affronto tecniche ed esperienze di questo importante lato della comunicazione. Per me affrontare la crisi nella comunicazione è adrenalina pura, strategia, capacità di reazione e professionalità. Purtroppo non c’è abbastanza cultura in molte imprese che si trovano impreparate alle molte crisi che possono accadere e in molti manager non c’è una reazione immediata alla crisi, inconsapevoli che nelle prime ore si definisce lo storytelling che poi inciderà sui giorni e le settimane successive. Quindi preparazione di piani, attivazione di monitoraggi online ed offline, prove e formazione sono indispensabili. Ci sono numerosi casi in cui da grandi crisi sono nate opportunità.

Comin & Partners vanta clienti di primissimo piano e che operano nei settori più diversi. Le richieste che vi arrivano in termini di azioni comunicative saranno quindi le più varie. Tuttavia c’è qualche richiesta che è tra le più comuni, tipo la ‘manutenzione’ o il potenziamento del brand o altro?
Lavoriamo molto nel grande campo della reputazione aziendale e personale. Ci sono molti casi in cui la percezione che gli stakeholder hanno delle imprese è diversa dalle aspettative. Affrontiamo dunque una analisi profonda di queste contraddizioni e prepariamo piani articolati e multidisciplinari. Ma ogni caso è diverso e per questo il nostro approccio è sartoriale. Non ci occupiamo di marketing ma di posizionare l’azienda e il manager presso gli stakeholder di riferimento. Poi la crisi, per la quale veniamo chiamati last minute e abbiamo capacità di reazione immediata. Il telefonino è sempre sul comodino sempre acceso.

L’Italia, secondo un’indagine del’Ipsos Mori Social Research Institute, è il primo tra i Paesi sviluppato per ‘Misperception Index’, che analizza e confronta il divario accumulato in 37 Paesi fra la percezione della realtà e la realtà stessa. Al secondo posto ci sono Stati Uniti, al terzo la Francia. Si può dire che si tratta di difendersi da ‘fake news’ che vengono fatte girare ad arte per un qualche interesse. Vista la brutta posizione italiana, riportare la percezione alla realtà vera sembrerebbe la fatica di Sisifo, eppure voi ci siete riusciti a favore di clienti che avevano chiesto il vostro servizio in questa direzione. Quali sono state le ‘armi’ con cui avete combattuto e combattete queste ‘battaglie’?
Il tema fake news è piombato prepotentemente nel nostro lavoro, come una distorsione dell’uso dei social media e della comunicazione digitale. Le imprese sono spesso impreparate anche soltanto a intercettare in tempo le criticità che vengono da azioni di concorrenza sleale, di gruppi antagonisti o di azioni di disinformazione. E i danni possono essere seri. Non è un problema solo italiano, ma ampiamente diffuso in tutto il mondo occidentale e riguarda le imprese, le istituzioni e la politica. E’ necessario rendersene conto e prepararsi attraverso un rafforzamento della propria reputazione, la conoscenza degli strumenti come gli algoritmi e delle tecniche di comunicazione online e con lo sviluppo di capacità di reazione rapida.

Un elemento fondamentale della vostra metodologia è l’organizzazione ‘grassroots’, ossia mettere insieme una coalizione di rappresentanza degli interessi e di raggiungere i pubblici di riferimento a partire dal basso. Ce ne può parlare nei suoi tratti essenziali?
Sulla mia scrivania ho un libro dei primi anni 2000 che consulto spesso: Managing activism. A guide to dealing with activist and pressure group, edito dall’Institute of Public Relation americano. Non è l’unico, ma trovo che questo sia un aspetto rilevante della comunicazione dei giorni nostri. Nella comunicazione politica, ma anche in quella corporate, dobbiamo essere capaci di fronteggiare azioni grassroot e di proporne. E’ un mix di abilità nella mobilitazione di gruppi più o meno ampi, associati o soli, in battaglie utili a rappresentare gli interessi dell’azienda presso i decision makers. Richiede competenze vaste, che vanno dalla mobilitazione alla guerriglia marketing, dall’utilizzo dei social media al coinvolgimento delle istituzioni. Settore appassionante.

I vostri servizi sono indubbiamente preziosi e ad alta resa per il cliente. Ma in Italia, un po’ su tutto, c’è sempre una voglia di ‘fai da te’ che in tanti casi non porta a rivolgersi a un professionista per affrontare le problematiche. Parlando di imprese, certamente le più grandi, che magari si muovono sui mercati internazionali, hanno superato questo limite. Ma a livello di piccole imprese quanto ad oggi è diffusa la percezione dell’importanza della comunicazione a tutto tondo? Ha notato cambiamenti negli ultimi anni, con l’avanzare della globalizzazione e con l’apertura di mercati a livello nazionale prima protetti?
C’è una crescente sensibilità sulla comunicazione e la reputazione. Certamente maggiore nelle grandi imprese, ma si affaccia anche nei manager e negli imprenditori di piccole e medie imprese. Purtroppo spesso non ci si rivolge a professionisti ma a praticoni della professione, che deve fare ancora molta strada prima di un riconoscimento effettivo al pari di altri settori.

Cosa è accaduto al vostro settore negli anni della grande recessione? In altri termini, ha sofferto pesantemente come tantissimi altri o ha avuto invece un ampliamento per la necessità di tante imprese – e non solo - di migliorare la comunicazione per limitare gli effetti della recessione e magari cogliere nuove opportunità?
La crisi ha provocato un drastico ridimensionamento del settore, ma a soffrire la crisi è stato soprattutto il segmento della pubblicità e degli eventi, i cui budget hanno subito pesanti riduzioni. Le pubbliche relazioni, la comunicazione digitale e i progetti complessi come quelli che gestiamo noi non hanno subìto crisi, anzi.

Un’ultima domanda, presidente Comin. Voi siete attivi anche nel marketing politico, per migliorare lo stile di comunicazione del candidato o dell’organizzazione, per aiutarli a raggiungere il loro pubblico di potenziali elettori. Quanto è determinante oggi, alla luce dell’esperienza che avete accumulato in questo campo, un’adeguata comunicazione?
Rispondere a questa domanda richiederebbe un libro. Nella Comin & Partners siamo appassionati di politica e molto esperti nel marketing elettorale. E’ un settore in cui si sperimentano le tecniche più avanzate di comunicazione e grassroot, si utilizzano i big data e gli strumenti più moderni di diffusione dell’informazione. Nella politica ci si scontra con le fake news e con i colpi sotto la cintola, con la velocità e con la necessità di adattare il linguaggio a ciascuna tipologia di elettori. Richiede capacità organizzative e passione. Insomma, poter partecipare da protagonisti alla comunicazione di un leader politico o lavorare al suo rilancio sono opportunità eccezionali.

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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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