I cambiamenti di progettazione e metodi di lavoro indotti dal Covid-19, l’impatto sull’architettura del cambiamento di prospettiva delle aziende con l’estendersi dello smart working e di stili di vita rispetto al pre-pandemia; l’emergere fortissimo del concetto di sostenibilità, come si concretizza nelle progettazioni e come rinnova il concetto di architettura; i mutamenti del settore derivanti dall’accelerazione dell’innovazione, in particolare digitale; i progetti su cui attualmente è maggiormente impegnato Lo Studio ACPV ARCHITECTS Antonio Citterio Patricia Viel. Tutto questo e altro nell’intervista all’Arch. Patricia Viel, che in partnership con Antonio Citterio ha fondato ACPV ARCHITECTS, la factory del progetto ai primi posti del fatturato in Italia.
Intervista a Patricia Viel, CEO dello Studio ACPV ARCHITECTS
Come sono cambiati, con il Covid-19, la progettazione e i metodi di lavoro per uno Studio associato come ACPV ARCHITECTS, realtà imprenditoriale leader nel disegno industriale, nel Made in Italy e nell’architettura, fondato da lei e Antonio Citterio? Più in generale, quali sono le tendenze principali con cui si esprime la centralità del concetto di sostenibilità concepito a 360 gradi (ambientale, economica, sociale)?
In questi ultimi anni è sicuramente aumentata l’attenzione alla fragilità della natura e, con essa, la fragilità dell’uomo. Dobbiamo entrare nella logica che gli edifici devono avere un fine vita e che questo deve essere considerato già nel momento nel quale vengono concepiti. Un po’ quello che è successo con gli oggetti di uso comune, che vengono riciclati o riutilizzati. Oggi è fondamentale cominciare a pensare in questa direzione anche in architettura. Per noi il progetto non è più, infatti, solo un progetto di architettura: ci interessa la trasformazione della città. Partiamo sempre da una serie di dati - fisici, urbanistici, normativi - quindi ‘informiamo’ questi dati in un’intenzione architettonica. E l’edificio realizzato restituisce i dati alla città sotto forma di nuove informazioni. In altre parole, il progetto in sé è solo un passaggio di informazioni. Non partiamo mai da un principio architettonico ma da un’analisi dei dati. La sostenibilità, in questo, si esprime in un’analisi delle ricadute economiche, sociali, ambientali dell’edificio e del suo impatto anche nel momento del suo fine vita.
Restando sul tema, parlando del fatto che questo periodo ha portato un forte cambio di prospettiva anche per le aziende, lei ha detto che “il rituale della presenza costante è frantumato, ma la fisicità continuerà ad essere un valore. Starà ai vertici chiarire gli obiettivi e creare per i collaboratori momenti ‘imperdibili’”. Quanto e come impatta ciò nella progettazione e, più in generale, nell’architettura? Quali le soluzioni più originali che avete avuto modo di trovare e quali caratteristiche hanno?
Concentriamoci sugli spazi di lavoro - che più hanno subito ed esprimono questo cambiamento. I modi di lavorare flessibili stanno cambiando la vita professionale delle persone: stiamo acquisendo nuove abitudini di lavoro che richiedono una riflessione sul ruolo dello spazio di lavoro e sulle funzioni che dovrebbe svolgere. Gli spazi di lavoro devono integrare una mixité di funzioni, consentendo di tenere riunioni di gruppo o incontri informali ma anche avere spazi in cui le persone possano prendersi il proprio tempo e concentrarsi sulla cura di sé. A questo proposito, ACPV ARCHITECTS ha sviluppato il concetto di Building-as-a-City (BaaC), ovvero ‘Edificio-Città’ per diversificare i modi in cui le persone vivono il proprio posto di lavoro. Seguendo i principi del Building-as-a-City, l’edificio per uffici assorbe la complessità di un ambiente urbano e offre a dipendenti e collaboratori i servizi (ad esempio palestra, sale da pranzo, sale relax) di cui hanno bisogno durante la giornata. Questo approccio favorisce gli spazi ibridi e la contaminazione incrociata tra tipologie architettoniche (uffici, spazi residenziali, hospitality). Questi sono aspetti che stiamo portando in alcuni dei nostri progetti più recenti, quale l’Headquarter di Enel a Roma, in Viale Regina Margherita, o nel Building D a Symbiosis, Milano.
Nel nostro Studio a Milano abbiamo creato degli spazi flessibili, in cui è possibile avere riunioni istituzionali e meeting più informali, spazi per la convivialità e il relax, e spazi dedicati ad attività formative che si tengono su base settimanale, di fronte ad una colazione. Sono spazi che favoriscono la creazione di una comunità.
Concetti come ‘creare dei luoghi dove le persone stanno bene’ e ‘gestire la complessità’ dovrebbero essere sempre la base della progettazione: pensa che, invece, si fosse perso questo senso dell’architettura e che ora si stia ritrovando?
L’architettura deve nascere da una risposta corale che non viene da una disciplina sola, ma che mette insieme tutte quelle parti che compongono la complessità che dobbiamo affrontare. Ciò che contraddistingue il nostro lavoro è il team, il rapporto con le persone. Sempre di più il lavoro in architettura è un lavoro di diverse conoscenze, che vanno a volte anche al di fuori dal nostro studio. Ormai ogni progetto è talmente complesso che il mestiere dell’architetto è gestire la complessità. L’attenzione che riponiamo nei nostri progetti è sempre la stessa, per cui la sedia o una città è solo un grado di complessità differente, di quantità di dati e di informazioni che vanno semplificate. Questo processo di semplificazione permette di avere quelle attenzioni che poi sono molto semplici, spesso, che sono la qualità dello stare, dell’abitare, del vivere.
Qual è l’impatto dell’innovazione tecnologica, in particolare di quella digitale, sull’attività di progettazione? Pensa che, per un grande Studio come il vostro, la possibilità di lavorare su dati, rilievi 3D, diagnosi, elaborazioni che permettono di ‘entrare nell’architettura’, il tutto gestibile grazie alla digitalizzazione e quindi al lavoro agile, permetta ‘solo’ di aumentare la produttività, la precisione, l’efficacia delle soluzioni, o apra nuovi scenari alla creatività, alla vision? In altre parole, l’innovazione rappresenta anche un grimaldello per ripensare l’architettura, o almeno alcuni suoi aspetti rilevanti?
Due anni fa lo studio ha lanciato ACPVLab, un dipartimento che si occupa di design generativo. Ogni nostro lavoro crea un’immensa mole di dati perché un progetto portato a termine ha alle spalle molti modelli scartati. Tale mole di informazioni, combinata con l’intelligenza artificiale, consente di fare design generativo conforme al nostro modus operandi. Si inseriscono una serie di parametri di performance - per esempio: trasparente, inerte termicamente, altezza interpiano variabile - e l’AI elabora una serie di opzioni che vanno valutate, per scegliere quella migliore. In futuro ognuno potrà progettare in autonomia la propria casa sulla base dei parametri scelti, e questo può sostituire ciò che era l’architettura fino a qualche tempo fa, ma non esiste intelligenza artificiale in grado di mettere a sistema la complessità delle città, le sue regole, i suoi flussi, il suo sistema economico e canalizzare il progetto in una determinata sfera di pensiero generatrice di nuove informazioni. L’architettura per noi oggi è questo.
In molti affermano che ACPV ARCHITECTS privilegi, contrariamente alla esasperata ricerca formalistica delle archistar, funzionalità e bellezza. Un connubio apprezzato da operatori immobiliari, grandi aziende e catene alberghiere del lusso. Si ritrova in questa immagine?
L’armonia fra quello che deve fare l’architettura e la sua forma è quello che noi consideriamo bellezza. Non sono in antitesi. È l’esito di un processo che ha la sua interna coerenza.