Gran Bretagna: l'inflazione non scende, e non è la sola cattiva notizia
- di: David Lewis
Ogni mattina, aprendo i giornali, i britannici incrociano le dita nella speranza di non leggere cattive notizie, come forse accade ovunque. Ma nel Regno Unito sta diventando una cosa troppo frequente perché non la si avverta quotidianamente, quasi fosse una certezza.
Se non sono i rincari delle bollette, c'è la conferma che la qualità dell'ambiente è scadente, persino perché qualche genio ha pensato di scaricare dei liquami fortemente inquinanti dove non avrebbe dovuto.
Probabilmente, per non restare perennemente delusi dall'andamento generale, dovremmo rassegnarsi ad aspettare, serenamente, tempi migliori. E, se magari ti convinci a farlo, a riportarti nella dura realtà dei numeri, con la notizia che il Regno Unito è, tra i Paesi economicamente più forti dell'Occidente (il G7), quello che ha l'inflazione più alta.
Gran Bretagna: l'inflazione non scende, e non è la sola cattiva notizia
A settembre è stata del 6,7%, più che nel resto d'Europa e, tanto per essere precisi, quasi il doppio degli Stati Uniti. Ora a ricetta per combattere l'inflazione è la stessa un po' ovunque (con qualche eccezione, come il Giappone): alzare i tassi di interesse per raffreddare la spirale dei prezzi.
Lo ha fatto la statunitense Federal Reserve, allo stesso modo della Banca Centrale Europa.
Lo ha fatto anche la Banca d'Inghilterra, ma senza fare altro che rallentare, e nemmeno di molto, l'inflazione. Con il solo risultato che gli stipendi non ce la fanno a stare al passo con il costo della vita che, con qualche ''isola felice'' tra i beni di largo consumo, continua a restare alto e, di conseguenza, a rendere sempre più esigua la possibilità della gente di comprare non solo quel che serve, nel timore di intaccare i risparmi.
Ma c'è poco da mettere da parte se il costo dei carburanti resta proibitivo e, per chi ha grandi sogni, come acquistare una casa, accostarsi ad una banca per chiedere credito è diventato un azzardo visto che i mutui ipotecari sono ai livelli più alti da molti anni a questa parte.
Ma, siccome queste sono notizie che, purtroppo, ci accompagnano da molti mesi, ci fai l'abitudine. Meno al fatto di leggere (ne ha scritto The Guardian) che le carceri britanniche sono costrette a ricorrere a misure che limitano la relativa libertà dei detenuti per il semplice motivo che non possono fare altrimenti per carenza di personale.
Si chiamano ''misure rosse'' e vengono considerate l'ultima risorsa per restituire le carcere alla normalità. Ma, se il numero del personale è insufficiente a garantire la sicurezza della struttura, ecco che i detenuti devono affrontare dei divieti alla loro normale giornata. A cominciare dalla negazione dell'accesso alle attività lavorative, ma anche alla biblioteca o ai programmi di riabilitazione. Una cosa che, dicono gli esperti citati dal quotidiano, porta ad una ''cultura della disperazione''. Né altrimenti potrebbe essere per qualcuno che, come ha raccontato un detenuto del carcere di Doncaster, è stato rinchiuso per 23,5 ore al giorno senza potere fruire della doccia.
Chi ha avuto la fortuna di non ''frequentare'' le carceri britanniche ne ha l'immagine che ci arriva dai film. Ma si tratta di una realtà romanzata che nulla ha a che fare con quello che realmente accade oltre la cinta e il filo spinato. Ricorrere a forme di coercizione del detenuto non per sue colpe, ma perché il sistema non è in grado di fare il proprio lavoro, è una sconfitta per tutti. Perché chi esce da un reclusorio arrabbiato per le ingiustizie patite è solo un soggetto pronto ad esplodere.
Anche i numeri raccontano questa verità. La scorsa settimana, la popolazione carceraria ha superato le 88.000 unità, il numero più alto mai registrato in Inghilterra e Galles. Quindi l'applicazione dei ''regimi rossi'' non sono una eccezione, ma la diretta conseguenza del numero sempre crescente della popolazione carceraria e di un sistema a cui è stato chiesto di ''fare troppo, con troppo poco, per troppo tempo”.