Un cambiamento silenzioso ma profondo sta attraversando il mercato del lavoro. L’intelligenza artificiale, da semplice strumento, si è fatta sistema. Aumentano le previsioni che annunciano una trasformazione radicale del panorama occupazionale. E in mezzo a questo scenario di incertezza, una voce autorevole torna a indicare una direzione.
Gates e il futuro del lavoro: tre professioni che l’IA non sostituirà
Bill Gates, fondatore di Microsoft e oggi osservatore attento delle dinamiche globali, ha recentemente indicato tre ambiti che, a suo avviso, resteranno al riparo – almeno per lungo tempo – dalla spinta automatizzante dell’IA. Tre professioni che, pur diverse tra loro, condividono un elemento fondamentale: la centralità del pensiero umano.
La programmazione: codificare il pensiero, non solo il software
La prima indicazione riguarda gli sviluppatori e i programmatori. Nonostante l’IA sia in grado di scrivere codice, Gates sottolinea che «la programmazione, intesa come progettazione di sistemi, risoluzione di problemi e costruzione di logiche complesse, resta una capacità umana, non delegabile».
Più che una previsione tecnologica, si tratta di una valutazione antropologica: la creatività, l’intuizione, l’esperienza sul campo restano elementi irrinunciabili, anche nell’era dei chatbot e degli algoritmi generativi.
Gates lo dice chiaramente: «Anche fra cento anni, programmare sarà una professione umana». Un’affermazione che, in sé, è anche una chiamata all’attenzione: non tutti i lavori legati alla tecnologia saranno sicuri, ma alcuni – se profondamente integrati con la dimensione cognitiva – avranno lunga vita.
Biologi e scienziati della vita: tra metodo e intuizione
Il secondo ambito indicato da Gates è quello della biologia. Il settore delle scienze della vita, dice, continuerà ad aver bisogno della componente esplorativa dell’intelligenza umana. L’IA può analizzare dati, incrociare risultati, proporre ipotesi, ma resta carente in un punto: la capacità di cogliere il senso di una scoperta ancora non fatta.
In biologia, infatti, non basta il calcolo: serve anche il dubbio, la capacità di interpretare ciò che non è stato ancora osservato, di immaginare percorsi nuovi. La ricerca è per definizione aperta, e richiede menti capaci di deviare dal tracciato. Per Gates, il biologo resterà quindi al centro di ogni grande svolta scientifica. Con un ruolo non accessorio, ma strutturale.
Energia: il governo della complessità
Il terzo campo individuato da Gates è quello dell’energia. In questo caso, il ragionamento riguarda non tanto la manualità o la ricerca, ma la governance di un sistema complesso e interconnesso. La produzione, distribuzione e regolazione delle risorse energetiche – soprattutto in uno scenario di transizione ecologica – richiedono visione strategica, gestione dei rischi, capacità decisionale.
Sono qualità, queste, che le macchine non hanno. Non del tutto, almeno. Secondo Gates, anche in presenza di sistemi automatizzati, il controllo finale e le scelte di scenario dovranno rimanere affidate all’essere umano. Perché la gestione dell’energia, nel XXI secolo, è anche una questione politica, geopolitica e sociale.
Il messaggio di fondo: non solo “quali lavori”, ma “quale mente”
Gates non si limita a stilare una classifica. Il suo ragionamento va oltre. Sottolinea che la vera protezione dal cambiamento tecnologico non sta in una professione, ma in un approccio mentale. In un mondo che evolve, dice, saranno premiati coloro che sapranno aggiornarsi, imparare costantemente, combinare competenze tecniche e capacità critiche.
Non esiste, in altre parole, una lista definitiva di lavori “a prova di IA”. Esiste, piuttosto, una cultura della resilienza e dell’adattamento. E in questo contesto, i tre ambiti indicati – programmazione, scienze della vita, energia – rappresentano più che un elenco: sono simboli di ciò che resterà umano perché nasce dall’intuizione, dall’errore, dall’interpretazione.