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Quando il fisco sbaglia, tu paghi: storie di ordinaria ingiustizia

- di: Marta Giannoni
 
Quando il fisco sbaglia, tu paghi: storie di ordinaria ingiustizia
Errori clamorosi, cartelle pazze e deduzioni negate: così l’Agenzia delle Entrate colpisce anche chi ha fatto tutto giusto.
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Un fisco che non chiede mai scusa
In Italia può succedere di tutto, ma mai che l’Agenzia delle Entrate ammetta di aver sbagliato. Il contribuente sbaglia una virgola? Multa. Il fisco sbaglia una cartella? “Faccia ricorso”. In un sistema tributario che non contempla la reciprocità, l’errore è sempre del cittadino. E anche quando è evidente che la colpa è dell’amministrazione, a pagare – in tempo, denaro, ansia – è comunque il cittadino.
“Non esiste alcun diritto all’errore per il contribuente. Esiste invece un diritto all’impunità per l’amministrazione”, ha scritto il tributarista Enrico Zanetti.
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Le cartelle pazze: una vecchia malattia mai guarita
Il fenomeno delle “cartelle pazze” ha radici antiche ma ancora oggi produce effetti devastanti. Si tratta di avvisi di pagamento errati per importi mai dovuti, tasse già pagate o errori di sistema. Nel 2023, secondo un report dell’Associazione Nazionale dei Tributaristi Lapet, sono state inviate oltre 400.000 cartelle esattoriali contestate, e di queste più del 60% sono risultate errate o sproporzionate.
Un caso emblematico è quello di Silvia Gatti, fiorista di Parma, che ha ricevuto una cartella da 26.000 euro per un errore su una dichiarazione del 2015 già sanata. Dopo tre mesi di PEC, telefonate e accessi agli uffici, ha scoperto che l’errore era del sistema automatico di calcolo. “Mi hanno detto: ‘Capita’. Intanto io non dormivo più”, ha raccontato a Il Fatto Quotidiano il 12 aprile 2025.
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Quando il CAF sbaglia… paghi tu
Anche i contribuenti che si affidano a professionisti possono ritrovarsi coinvolti in un incubo. È il caso di Gianluca Rossi, ingegnere milanese, che si è visto recapitare una sanzione da 4.300 euro per un errore materiale commesso dal CAF cui si era affidato. La legge consente al CAF di sanare con il pagamento della sanzione, ma le imposte maggiori le paga comunque il contribuente.
“È un sistema disfunzionale che scarica l’inefficienza su chi si comporta correttamente”, ha spiegato Rosario De Luca, presidente del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro.
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Deduzioni negate, anche se hai diritto
Altra stortura frequente è l’interpretazione restrittiva delle detrazioni e deduzioni. Un esempio recente è quello delle spese per assistenza ai disabili. Fino a poco tempo fa, l’Agenzia delle Entrate negava la deducibilità se l’assistenza non era fornita da personale formalmente qualificato, ignorando il principio della sostanza sul formalismo.
A gennaio 2025, la Cassazione con ordinanza n. 449/2025 ha ribaltato tutto: “Anche l’assistenza fornita da familiari o persone non certificate è deducibile, se necessaria e documentata”. Un cambio di rotta che ha ridato speranza, ma che nel frattempo ha fatto perdere tempo, denaro e serenità a centinaia di famiglie.
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Lettere di compliance a caso: il panico corre via PEC
Nel giugno 2024 migliaia di cittadini hanno ricevuto via PEC lettere di compliance con rilievi infondati, causati da dati bancari trasmessi erroneamente da istituti di credito. L’Agenzia ha ammesso l’errore con una nota del 7 luglio, ma nessun automatismo di annullamento è stato attivato: toccava al contribuente fare opposizione, con i propri mezzi.
“I sistemi informatici del fisco lavorano su grandi numeri. Quando sbagliano, il costo si distribuisce sulle persone, una per una”, ha dichiarato il fiscalista Alessandro Giovannini, docente a Siena.
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Il cortocircuito dei controlli automatici
Con l’aumento delle banche dati e l’incrocio tra Anagrafe Tributaria, INPS, banche e catasto, il margine di errore cresce, nonostante l’intelligenza artificiale. A volte le incongruenze scattano per una ricevuta duplicata, un bollo auto dimenticato, un ISEE errato. Anche quando il contribuente ha agito in buona fede, deve giustificarsi come se fosse colpevole.
Una madre di tre figli, Laura M., ha raccontato a Fanpage di aver perso l’assegno unico per quattro mesi perché l’Agenzia aveva rilevato “incongruenze patrimoniali”: il suo ISEE includeva una vecchia polizza assicurativa estinta nel 2021. Solo dopo otto PEC e due accessi all’INPS è riuscita a sbloccare la situazione.
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Diritto alla difesa? Solo se puoi permettertelo
Ricorrere contro un errore del fisco richiede tempo, competenze e spesso denaro. Le commissioni tributarie sono lente, gli accessi agli atti complicati, e gli oneri della prova sono quasi sempre in capo al contribuente. Il risultato? Molti pagano anche se non devono, per sfinimento.
“La vera iniquità è strutturale: il fisco ha strumenti infiniti, il cittadino no”, ha dichiarato l’economista Carlo Cottarelli in una tavola rotonda sul tema tenutasi a Milano.
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Una proposta: l’inversione dell’onere della prova
Sempre più esperti propongono una riforma di principio: quando è il fisco a sbagliare, sia lui a dover dimostrare di avere ragione, non il cittadino a dimostrare di avere torto. E nei casi di errore acclarato, si dovrebbe prevedere un risarcimento automatico per il contribuente.
“È ora di affermare una responsabilità oggettiva dell’Agenzia – ha dichiarato Enrico Zanetti – come accade in altri ordinamenti. Se sbagli, paghi. Anche se sei lo Stato”.
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Una sfiducia ben fondata
Il rapporto tra contribuenti e fisco italiano è minato da decenni di iniquità, formalismi assurdi, automatismi ciechi e burocrazia selvaggia. La giustizia fiscale è un diritto civile, ma oggi in Italia è una lotta contro un muro di gomma.
Se vogliamo davvero un sistema equo, la prima riforma da fare è ristabilire la fiducia, e per farlo serve una verità semplice e potente: quando lo Stato sbaglia, deve pagare. Anche lui.

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