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New York, l’era Mamdani: giuramento “sotto terra” e sfida al trumpismo

- di: Bruno Legni
 
New York, l’era Mamdani: giuramento “sotto terra” e sfida al trumpismo
L’era Mamdani a New York: giuramento “sotto terra” e sfida al trumpismo
Dal metrò fantasma a City Hall: il nuovo sindaco promette una città più accessibile (e più politica).

A New York l’anno nuovo non inizierà con i soliti fuochi d’artificio. O meglio: ci saranno anche quelli, ma l’immagine destinata a rimbalzare ovunque è un’altra. Zohran Mamdani, 34 anni, democratic socialist, primo sindaco musulmano della storia cittadina (e tra i più giovani da un secolo), ha scelto un avvio di mandato che è già racconto: un giuramento “di servizio” in un luogo simbolico e un secondo, pubblico, in piena luce, davanti alla città.

Il doppio giuramento: prima sotto City Hall, poi in piazza

La sequenza è studiata al millimetro. Poco prima della mezzanotte tra il 31 dicembre e il 1° gennaio, Mamdani presterà giuramento in forma privata nell’abbandonata Old City Hall subway station, la stazione storica chiusa al pubblico da decenni e rimasta come capsula del tempo sotto il parco di City Hall. A officiare l’atto sarà la procuratrice generale dello Stato di New York, Letitia James.

Poi, il “bis” in grande stile: cerimonia ufficiale all’aperto e discorso alla città. A prestare nuovamente il giuramento sarà Bernie Sanders, per Mamdani un riferimento politico dichiarato. Lo stesso Sanders ha presentato la vittoria del nuovo sindaco come un segnale più ampio della sola New York: “[…] la forza di un movimento della classe lavoratrice […] il futuro appartiene alle persone, non alla classe dei miliardari”.

E siccome New York è New York, la politica si mescola con l’evento: è prevista una festa di inaugurazione lungo il “Canyon of Heroes”, con accesso su registrazione e schermi per seguire la cerimonia anche da fuori. L’idea è chiara: trasformare l’insediamento in una prova generale di “città in movimento”, non in una liturgia da pochi addetti ai lavori.

Il messaggio del metrò: la città come infrastruttura, non come slogan

La scelta della stazione “fantasma” non è una stravaganza da social. È una dichiarazione di metodo. Mamdani ha collegato quel luogo alla New York che costruiva “grande” per cambiare la vita dei lavoratori. In una frase, il senso della sua narrazione sta tutto qui: riportare l’ambizione pubblica al centro. Nelle parole attribuite al sindaco eletto, l’obiettivo è traghettare la città in “una nuova era di opportunità”, senza trattare il passato come un museo e il presente come una rassegna di emergenze.

L’agenda: affitti, spesa, trasporti e un’idea diversa di sicurezza

La campagna di Mamdani è stata costruita su un mantra semplice: New York è diventata troppo cara. E la sua piattaforma, messa nero su bianco dal team, punta su quattro assi: congelamento degli affitti, più case accessibili, stretta sui proprietari scorretti e tutela dei piccoli proprietari; poi una scommessa che fa discutere anche prima di nascere: negozi di alimentari a gestione cittadina per calmierare i prezzi; quindi bus più rapidi e gratuiti; e infine un capitolo sulla sicurezza con un’impostazione diversa, che include l’idea di un “Department of Community Safety”.

È un pacchetto coerente con la sua identità politica, ma soprattutto è un test: se funziona, New York diventa un laboratorio replicabile; se si arena, diventa l’ennesima storia di promesse che si scontrano con bilanci, competenze e veti incrociati.

La prova del fuoco: soldi, poteri e la macchina amministrativa

La domanda che circola nei palazzi (e nei diner) è brutale: quanto di tutto questo è realizzabile e in quanto tempo? Analisi internazionali hanno descritto il passaggio dall’energia elettorale alla gestione quotidiana come il “momento della verità”: la città è un colosso amministrativo, con contratti, sindacati, regole urbanistiche e un rapporto delicato con lo Stato di New York. Per molte leve — dalla casa ai trasporti — la partita passa anche da Albany, non solo da City Hall.

C’è poi la questione della squadra. Nei giorni che precedono l’insediamento, l’attenzione si è concentrata su nomine e conferme: alcuni ruoli tecnici chiave sono stati mantenuti per garantire continuità in sanità e servizi essenziali, mentre altre caselle risultano ancora da riempire. Un dettaglio solo in apparenza: a New York la “seconda linea” spesso decide la velocità (o la paralisi) delle politiche.

La sfida al trumpismo: perché la partita non è solo cittadina

Il titolo politico di questa storia è un altro: l’anti-Trump per via amministrativa. Mamdani non promette solo misure, promette un modello: dimostrare che si può governare puntando su costo della vita, servizi e redistribuzione, anziché inseguire la polarizzazione identitaria.

Dall’altra parte, Donald Trump ha usato toni durissimi durante la campagna e dopo il voto, descrivendo Mamdani come un pericolo ideologico. In sostanza, l’ex presidente ha provato a trasformare New York in un “caso nazionale”: se la città simbolo dell’America liberale vira a sinistra, la destra può presentarla come spauracchio; se invece la sinistra governa bene, la narrazione si ribalta.

Le tensioni: antisemitismo, proteste e l’eredità di Adams

Sulla strada, però, ci sono mine vere. Il clima cittadino arriva da anni di scontri su sicurezza, gestione delle proteste e conflitti legati al Medio Oriente. In questo contesto, l’amministrazione uscente di Eric Adams ha spesso impostato il discorso pubblico su ordine e contrasto all’antisemitismo; i sostenitori di Mamdani, al contrario, hanno spinto su diritti civili e critica di alcune scelte di governo. È un equilibrio delicatissimo: qualunque passo falso rischia di diventare nazionale in poche ore.

Adams, nel frattempo, ha lasciato intendere che potrebbe persino evitare la cerimonia per non diventare “un diversivo”. Anche questo è un segnale: la transizione non è solo un passaggio di consegne, è un cambio di linguaggio e di coalizioni sociali.

New York come cartina di tornasole: cosa guardare nei primi 100 giorni

Ci sono almeno quattro indicatori che diranno presto se l’“era Mamdani” è sostanza o scenografia: un piano credibile sugli affitti (e su come reggerlo legalmente e finanziariamente), una tabella di marcia sui trasporti che non resti manifesto, un progetto sulla spesa e sul cibo capace di superare scetticismo e logiche di mercato, e soprattutto una gestione della sicurezza che tenga insieme prevenzione, presenza sul territorio e fiducia pubblica.

La cerimonia “sotto terra” è un trailer perfetto. Ma dal 1° gennaio, per Mamdani, comincia il film vero: quello in cui una città gigantesca, impaziente e contraddittoria chiede risultati, non simboli. E in cui ogni ritardo non sarà letto come burocrazia, ma come politica.

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