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Il nuovo nucleare vale 2,5% del Pil: Italia a un bivio energetico

- di: Vittorio Massi
 
Il nuovo nucleare vale 2,5% del Pil: Italia a un bivio energetico

Confindustria ed Enea spingono per gli SMR dal 2035. Fino a 120mila posti di lavoro, 46 miliardi di filiera. “Non si può più rimandare”, avverte Orsini. Il governo prepara la svolta.

(Foto: Emanuele Orsini, presidente di Confindustria).

Il ritorno dell’atomo tra numeri, strategia e urgenze

Il ritorno del nucleare in Italia non è più solo un’ipotesi tecnica o un dibattito ideologico: è diventato un progetto economico concreto. Secondo uno studio elaborato da Confindustria ed Enea, il nuovo nucleare – trainato dai reattori modulari di piccola taglia (SMR) – potrebbe contribuire fino al 2,5% del Pil nazionale entro metà secolo, generando 117.000 nuovi posti di lavoro e stimolando investimenti industriali per oltre 46 miliardi di euro.

Il piano ha contorni precisi: primi impianti al 2035, 2 GW installati entro il 2040 e fino a 8 GW nel 2050, coprendo l’11% della domanda elettrica nazionale. Oggi l’Italia consuma circa 300 TWh l’anno; nel 2030 saranno 400, nel 2050 si salirà a 600. Per Emanuele Orsini, presidente di Confindustria, “il nucleare non è un’opzione tra le altre: è una necessità strategica. Non possiamo più permetterci di rallentare”.

Il nodo della sicurezza energetica

A preoccupare è l’instabilità del mix energetico italiano, fortemente dipendente dalle importazioni e dagli sbalzi dei mercati globali. “L’energia nucleare è una leva imprescindibile per ridurre la volatilità dei prezzi e garantire continuità all’industria nazionale, soprattutto nei settori energivori”, ha dichiarato Giorgio Graditi, direttore generale di Enea.

Le energie rinnovabili restano fondamentali, ma da sole non bastano. “Se vogliamo davvero la neutralità climatica al 2050 – ha aggiunto Graditi – dobbiamo accelerare su tutte le tecnologie a basse emissioni. E gli SMR sono tra le più promettenti: scalabili, sicuri, integrabili nella rete”.

Un’occasione industriale da non perdere

Oltre ai benefici ambientali e di sicurezza, il ritorno del nucleare è anche una sfida industriale cruciale. L’Italia, pur priva di centrali attive, vanta 70 aziende già operative nella filiera e competenze consolidate in ingegneria, componentistica e materiali speciali.

Secondo Aurelio Regina, delegato del presidente di Confindustria per l’energia, “il mercato cumulato della filiera italiana può toccare i 46 miliardi di euro, con un impatto economico annuo stabile oltre i 50 miliardi”. “Ma serve una chiara volontà politica. Servono norme certe, investimenti mirati, accordi internazionali”.

Il nodo dei costi – stimati tra i 70 e i 110 dollari a MWh – può essere gestito solo in un quadro di cooperazione con partner industriali esteri, a partire da Francia, Canada e Corea del Sud, già avanti sugli SMR.

La posizione del governo: tra prudenza e accelerazione

Anche l’esecutivo ha abbandonato i toni timidi. Il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha ribadito che “il nucleare è indispensabile per accompagnare le rinnovabili. I consumi energetici raddoppieranno nei prossimi vent’anni, non possiamo ignorarlo”.

Sulla stessa linea il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso: “Il nuovo Pniec stima per il nucleare un contributo dell’11% alla domanda elettrica al 2050. Questo vuol dire risparmi fino a 17 miliardi di euro e maggiore stabilità industriale”.

Le ombre sul percorso: serve consenso politico e culturale

Ma non tutto è risolto. Il vero ostacolo non è tecnico né economico: è politico e culturale. Il tema nucleare è ancora divisivo. La road map proposta da Enea-Confindustria prevede una forte mobilitazione degli atenei, la creazione di percorsi di formazione tecnica ad hoc, e un massiccio sforzo comunicativo per superare le paure ereditate dal passato.

“Occorre una nuova narrazione sul nucleare: trasparente, scientifica, non ideologica”, ha spiegato il fisico Luca Fiorani, esperto di sostenibilità. “I reattori modulari non sono quelli di Chernobyl. Parlano un linguaggio completamente diverso: ridotto impatto ambientale, possibilità di spegnimento automatico in caso di emergenza, standard di sicurezza altissimi”.

Italia fuori tempo massimo?

Il mondo intanto corre. Francia, Stati Uniti, Regno Unito, Cina e Canada stanno investendo massicciamente nella tecnologia SMR. La Commissione europea, con il programma Euratom, ha stanziato quasi un miliardo di euro per ricerca e sviluppo. Anche l’Ue ha riconosciuto il nucleare come energia “transitoria verde” nella tassonomia finanziaria, aprendo così alla finanza sostenibile.

L’Italia, uscita dal nucleare con il referendum del 1987 e confermata nel 2011, è oggi in ritardo. Ma il tempo per rientrare in partita c’è, a patto che si parta subito. Il primo tassello? Una legge quadro nazionale che autorizzi i progetti pilota, definisca le responsabilità e crei un fondo dedicato alle tecnologie SMR.

Tra coraggio e pragmatismo

Non è più questione di “se”, ma di “quando” e “come”. Il ritorno del nucleare in Italia, se ben governato, può rappresentare una leva fondamentale di transizione, crescita e autonomia. Ma servono decisioni rapide, visione lunga e coraggio politico. Come ha scandito con fermezza Emanuele Orsini: “Non possiamo essere contrari alle rinnovabili e al nucleare allo stesso tempo. O scegliamo la transizione, o la subiamo”.

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