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Nove miliardi per la manovra: Irpef e rottamazione in prima fila

- di: Marta Giannoni
 
Nove miliardi per la manovra: Irpef e rottamazione in prima fila
Manovra 2026: 9 miliardi tra Irpef e rottamazione quinquies

Tra concordati delle partite Iva, gare sui giochi e spending review il governo costruisce la dote: meno tasse per il ceto medio e cartelle più leggere.

La dote nascosta del bilancio

Non ci sono tesoretti, ma c’è un salvadanaio. Lo chiama così il Tesoro: “Fondo per l’attuazione della delega fiscale”. È lì che si accumula la dote per la prossima manovra: circa 9 miliardi di euro, tra minori spese e maggiori entrate, che permetteranno al governo di finanziare due bandiere politiche – il taglio dell’Irpef per i redditi medi e la nuova rottamazione delle cartelle esattoriali, ribattezzata quinquies.

Il viceministro dell’Economia Maurizio Leo, in un’intervista, aveva fissato le priorità: alleggerire il peso fiscale sul ceto medio e stabilizzare gli sconti Ires per le imprese che investono e assumono. Sul fronte sociale, il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon ha quantificato in “fino a 2 miliardi” la spesa legata alla rottamazione. A ciò si aggiungono i 2 miliardi già prenotati dal ministro della Salute Orazio Schillaci per il 2026.

Entrate straordinarie: partite Iva e giochi

Le cifre sono meno evanescenti di quanto sembri. Dalle partite Iva sono già arrivati 1,6 miliardi con il concordato preventivo dello scorso anno e altri 1,3 miliardi con la sanatoria di marzo. Totale: quasi 3 miliardi. Nel 2026 è atteso un gettito analogo con le nuove versioni degli stessi strumenti.

C’è poi la sorpresa del Lotto. La gara di concessione ha reso 2,2 miliardi, contro l’1 previsto, liberando 1,2 miliardi in più. E non è escluso che Palazzo Chigi decida di anticipare la gara del Gratta&Vinci – formalmente in scadenza nel 2029 – che potrebbe garantire facilmente un miliardo aggiuntivo.

La spending review che rallenta la spesa

Non solo entrate: la vera sorpresa è sul fronte della spesa. A metà anno, i conti pubblici segnano una dinamica più lenta rispetto al ritmo concordato con Bruxelles. Il risparmio è pari a circa 0,2 punti di Pil, cioè 4 miliardi. “Una tendenza positiva che, se confermata, può diventare il pilastro della prossima manovra”, spiegano fonti del Mef.

Concordati, giochi e risparmi portano il conto vicino ai 9 miliardi. Una cifra sufficiente a coprire le misure simbolo, senza deviare dagli impegni presi con l’Unione europea: deficit sotto il 3% e rispetto del nuovo vincolo sulla spesa netta primaria.

Le reazioni politiche

La maggioranza esulta. “Per la prima volta da anni non partiamo dal segno meno: è la prova che rigore e crescita possono convivere”, ha commentato il capogruppo della Lega al Senato, Massimiliano Romeo.

Le opposizioni restano fredde. “Si spaccia per risparmio ciò che è semplice fortuna contabile: una tantum che non risolvono i nodi strutturali”, ha replicato la responsabile economia del Pd, Chiara Braga.

Il contesto internazionale: mercati e materie prime

Sul quadro complessivo pesano però le incertezze globali. Le Borse asiatiche hanno chiuso contrastate: Tokyo (-0,9%), Hong Kong (-0,4%), Shanghai (-0,4%), Seoul (-0,3%), Sydney (-0,4%). Mumbai è scesa di oltre 600 punti, con il Sensex sotto i 25.000, penalizzata dalle tensioni commerciali con gli Stati Uniti.

Le valute riflettono la cautela: euro/dollaro stabile a 1,08, sterlina in leggero rialzo a 1,27, yen più forte a 144, mentre lo yuan cede terreno. Oro in crescita a 3.374 dollari l’oncia, massimo da due settimane, segnale di rifugio in tempi incerti. Il petrolio Brent arretra a 68 dollari al barile, mentre il gas naturale resta sopra 2,7 dollari per milione di Btu.

I futures europei indicano un avvio in rosso: Stoxx600 -0,6%, Dax -0,5%, Ftse Mib -0,4%.

Una manovra senza “magie”

La legge di Bilancio 2026, che il governo presenterà a settembre, non sarà una manovra da sogno, ma potrà contare su risorse reali, accumulate con cautela. Sarà una sfida politica: ridurre le tasse sul ceto medio e offrire un nuovo percorso di pace fiscale senza sforare i vincoli europei.

Una sfida, insomma, che parte da un dato certo: la dote da 9 miliardi non è fumo, ma denaro vero. 

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