Patrimoni da record, stabilità glaciale e ambizioni globali: il cuore dei caveau svizzeri batte più forte che mai.
Un colossale patrimonio custodito sotto il manto alpino
Nel 2024 le banche svizzere hanno raggiunto un livello storico: i patrimoni gestiti si sono attestati a 9.284 miliardi di franchi, con una crescita del 10,6 % rispetto all’anno precedente. Di questi, 4.225 miliardi derivano da clienti esteri, mentre il resto è di origine domestica. Questa massa impressionante equivale a oltre quattro volte il Pil italiano, un scrigno di ricchezza che continua a espandersi sotto il cielo alpino.
Le banche private hanno brillato: patrimoni in gestione nell’ordine dei 3,4 trilioni di franchi, trainati dai mercati e da una profittabilità in crescita. In altre parole: la macchina della ricchezza elvetica è ben oliata.
Perché la Svizzera resiste come porto sicuro
La caduta del segreto bancario, lo scambio automatico di informazioni fiscali e lo shock del quasi collasso di Credit Suisse nel 2023 non hanno incrinato l’appeal internazionale della piazza elvetica. Dopo l’intervento d’emergenza e l’integrazione in UBS, il sistema ha assorbito l’urto, riaffermando la propria affidabilità.
“Il nostro Paese si conferma sicuro e stabile per la conservazione dei patrimoni.” Così l’Associazione svizzera dei banchieri ha sintetizzato il sentiment rilevato a inizio luglio, un giudizio che fotografa bene la domanda di protezione in un contesto globale scosso da guerre e tensioni.
Il franco svizzero rimane un bene rifugio al pari dell’oro: forte, difensivo, sostenuto da politiche prudenti. Anche con una valuta così solida — fastidiosa per gli esportatori in certe fasi — l’industria della gestione patrimoniale continua ad attrarre capitali alla ricerca di stabilità e discrezione legale.
L’impatto economico e le ambizioni da superstar
La ricchezza amministrata non è una bolla autoreferenziale: il settore contribuisce in modo significativo al Paese, con un apporto stimato di decine di miliardi di franchi all’economia reale tra valore aggiunto, occupazione qualificata e imposte.
Dopo l’integrazione di Credit Suisse, UBS ha fissato obiettivi aggressivi sulla gestione patrimoniale globale, punta sull’IA e su segmenti ad alta crescita, e consolida la propria leadership nell’offshore europeo e nella clientela internazionale. Un monito arriva dalla vigilanza: più grande è l’istituto, più netti devono essere i presìdi.
“Un aumento sproporzionato dei requisiti di capitale rischia di erodere la competitività della piazza.” È l’avvertimento attribuito a Colm Kelleher, presidente di UBS, mentre si discute di regole più stringenti: equilibrio tra resilienza e competitività resta la parola d’ordine.
Nel frattempo altri attori del private banking mostrano resilienza: masse in crescita, nuova raccolta positiva, qualche ombra sugli utili per via di accantonamenti e operazioni straordinarie. Il quadro complessivo, però, racconta una industria viva e orientata all’espansione.
La Svizzera riparte più forte, ma sotto la lente
La fotografia è chiara: stabilità istituzionale, moneta forte, competenze accumulate e reputazione mantengono la Svizzera ai vertici della gestione patrimoniale. La domanda è se basterà per attraversare la prossima fase: tassi che cambiano direzione, nuove regole globali, geopolitica turbolenta, esigenze di trasparenza più pressanti.
Sulla carta la piazza elvetica sembra avere ancora munizioni: capacità di innovazione, radicamento nel wealth management internazionale e una clientela che premia l’affidabilità. La sfida sarà crescere senza perdere il tratto che l’ha resa unica: contenere i rischi, mantenere il faro della stabilità, difendere l’attrattività in un mondo che cambia.