Questa mattina, in audizione davanti alle commissioni riunite Ambiente e Attività produttive della Camera, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin ha ribadito che il Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi sarà operativo nel 2039. Ma ha dovuto ammettere che a oggi nessun territorio ha avanzato una candidatura formale per ospitarlo. Dopo la pubblicazione della Carta nazionale delle aree idonee (Cnai) il 13 dicembre 2023, che indicava 51 siti potenzialmente adatti, non è pervenuta alcuna manifestazione d’interesse né da parte di enti locali né da strutture militari. Una paralisi istituzionale che fotografa la crescente diffidenza dei territori verso progetti percepiti come impattanti, nonostante le rassicurazioni tecniche.
Deposito scorie, Pichetto: “Sarà operativo nel 2039, ma nessun territorio si candida”
Il ministro ha spiegato che, in mancanza di candidature volontarie, è stata attivata la procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS), attualmente ancora in corso. Una volta acquisito il parere di scoping da parte della Commissione VIA/VAS, si potrà procedere con l’approvazione della Cnai e aprire una nuova finestra per le manifestazioni di interesse da parte degli enti coinvolti. Pichetto ha auspicato “un atteggiamento di responsabilità condivisa” e ha ricordato che, in caso di ulteriore stallo, la legge consente l’intervento diretto dello Stato tramite un decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Consiglio dei Ministri, sentito il presidente della Regione interessata.
Le tappe di un processo lungo e complesso
Il rilascio dell’Autorizzazione Unica è previsto per il 2029, dopo una serie di passaggi tecnici e amministrativi che includono consultazioni locali, indagini geologiche condotte da Sogin e una campagna informativa rivolta alla popolazione della zona prescelta. Il Deposito sarà affiancato da un Parco Tecnologico dedicato alla ricerca sul ciclo dei rifiuti radioattivi, mentre i materiali ad alta attività saranno temporaneamente conservati nel Centro di Stoccaggio CSA, in attesa di una soluzione definitiva che, secondo la strategia nazionale, dovrebbe prevedere in futuro anche un deposito geologico da definire in sede europea.
Pichetto ha inoltre sottolineato che “le scorie esistono già e sono distribuite in oltre venti siti sul territorio nazionale”. Il problema, quindi, non è potenziale ma attuale. “Il nostro compito è fornire un quadro chiaro dello stato dell’arte e di dove vogliamo andare. Servono voci autorevoli per affrontare le legittime paure dei cittadini”, ha detto il ministro.
I dati: un Paese già carico di scorie
Secondo i dati dell’Inventario nazionale aggiornato al 31 dicembre 2023, in Italia sono presenti 32.663 metri cubi di rifiuti radioattivi, in crescita del 5% rispetto al 2022. La maggior parte è rappresentata da scorie a bassa e molto bassa attività, ma non mancano i materiali più pericolosi, in particolare quelli ad alta attività derivanti dal riprocessamento del combustibile nucleare esaurito. Il Lazio è la regione che detiene il maggior volume (oltre 10.500 m³), seguita da Lombardia, Piemonte e Basilicata. Il Piemonte, però, è la prima regione in termini di radioattività complessiva, ospitando il 79% del totale nazionale, anche per via della presenza del Deposito Avogadro e del combustibile irraggiato.
Pichetto ha ricordato che il 99% del combustibile delle ex centrali nucleari è stato inviato all’estero, principalmente in Francia e Regno Unito, per il riprocessamento. Tuttavia, questo materiale dovrà tornare in Italia nei prossimi anni, generando nuovi volumi di rifiuti ad alta e media attività da gestire con strutture adeguate. È inoltre in corso una revisione dell’accordo di Lucca per rinegoziare i tempi e le modalità di rientro dei materiali.
Rinnovabili, dopo il TAR si riscrive il decreto
L’audizione si è poi spostata sul tema delle energie rinnovabili e sull’individuazione delle aree idonee. Dopo la bocciatura da parte del TAR Lazio del decreto ministeriale del 21 giugno 2024, che definiva i criteri per la localizzazione degli impianti, il ministero ha avviato un percorso di riscrittura. Il giudice amministrativo ha contestato la genericità dei criteri, la mancanza di una disciplina transitoria e l’eccessiva discrezionalità concessa alle Regioni, in particolare la possibilità di ampliare le fasce di rispetto dai beni culturali fino a 7 km.
Pichetto ha assicurato che la revisione del provvedimento sarà rapida e concertata con gli altri ministeri e con le Regioni. “Dobbiamo garantire uno sviluppo ordinato delle rinnovabili e al tempo stesso evitare nuove paralisi. Gli obiettivi del Pniec non sono negoziabili e l’Italia deve fare la sua parte per rispettare gli impegni europei”, ha dichiarato.
Un passaggio politico cruciale
L’audizione di questa mattina ha messo in luce non solo le difficoltà tecniche e amministrative, ma anche un vuoto politico. Il ministro ha parlato di “effetto Nimby accentuato” e della necessità di superare paure alimentate da disinformazione o pregiudizi. Ma la realtà è che il Paese sembra privo, al momento, di un luogo disposto ad accogliere il deposito delle scorie. Un dato che non può essere sottovalutato, soprattutto perché – come ha ricordato lo stesso ministro – l’esistenza dei rifiuti radioattivi è già un fatto.
Senza una governance forte, trasparente e capace di costruire un patto credibile con le comunità, il cronoprogramma rischia di restare sulla carta. E il rischio più grande è quello di continuare a custodire scorie pericolose in siti temporanei, sparsi e non adeguatamente attrezzati. Una prospettiva che, per lo stesso governo, non è più sostenibile.