Ne uccide più il selfie che la spada

- di: Redazione
 
Le vicende che ruotano intorno al Comune di Bari, con la conseguente decisione da parte del ministro dell'Interno Piantedosi di vederci meglio su cosa sia accaduto dentro e accanto all'amministrazione guidata dal sindaco Antonio Decaro, interessano la politica, oltre alla giustizia.
Ma a fare notizia, in questi giorni, non sono solo i criteri con i quali si decidevano delle assunzioni in seno all'azienda di trasporti urbani del capoluogo pugliese, che da soli dovrebbero fare discutere, dando per scontato che il lavoro della magistratura stia facendo emergere ciò che realmente accadeva.

Ne uccide più il selfie che la spada

A emergere, come dirimente in seno al modo di fare politica, è che fa più clamore un selfie (che ha visto immortalato, per strada, Decaro con due donne imparentate con un capoclan, ma incensurate) che non la sostanza di quello che l'amministrazione ha fatto per la città o per eventuali violazioni del codice di legalità, cui dovrebbe avere uniformato il suo agire.
La stampa schierata al fianco della maggioranza di governo ha colto al volo l'opportunità di quella foto per dire: ecco, avete visto che l'accesso ispettivo deciso da Piantedosi (e che ha avuto l'avallo del presidente del consiglio, Giorgia Meloni, che ne ha difeso l'operato) era giustificato?

A stretto giro di posta, dalla stampa non ''benevola'' nei confronti del governo, è riemersa dall'oblio un'altra fotografia, che immortala Giorgia Meloni in una foto di gruppo, con accanto un presunto esponente della criminalità del litorale romano.
Insomma, chi di foto ferisce, di foto perisce o potrebbe perire.
La domanda però che bisognerebbe rivolgere ai nostri politici (ma anche agli artisti, agli sportivi e a chi ha un filo di notorietà) è se farsi fotografare con chicchessia possa rientrare nella sfera della prudenza.
Partendo dal presupposto che farsi ritrarre insieme a qualcuno, in contesti palesemente casuali, non significa esserne amico o condividerne vita e attività, è proprio necessario farlo?
E' fondamentale per le proprie sorti (politiche, artistiche, sportive) sorridere a comando davanti a un telefonino, diventato ormai un arma di distruzione di massa dell'immagine pubblica?
Crediamo di no perché la cristallizzazione di un momento della vita di ciascuno può indurre a considerazioni lontanissime dalla realtà. Ma, dicono politici e gli altri che si sottopongono alla tortura del selfie, se non lo facciamo veniamo massacrati sui social da chi ci taccia di disprezzo e arroganza.

Vero, verissimo perché di queste storie la rete è piena di insulti e minacce nei confronti di chi, v.i.p. o presunto tale, dicendo di no ad uno scatto per strada, si espone alla rabbia incontrollata di chi magari di quello che realmente accaduto non sa assolutamente nulla. Non sa se magari quello rifiutato era stato il millesimo selfie, non sa se magari il personaggio famoso non aveva più sorrisi che nulla hanno di naturale.
Forse è il momento di accettare un no, detto con garbo, alla richiesta di un selfie senza costruirci sopra un dramma greco.
Forse è anche il momento per il ''personaggio di turno'' per capire che non sarà certo una fotografia, spesso sgranata e fuori quadro, ad aumentarne la fama, che non è sempre proporzionale al numero dei ''mi piace''.
A questo punto, a chi ha qualche anno sulle spalle, sovviene il ricordo di un'altra foto non certamente cercata, quella sì che mise a rischio non la carriera, quanto l'immagine di uno degli uomini più potenti della Democrazia cristiana e, quindi, del Paese, Amintore Fanfani.

1979: si commemora la morte di Aldo Mori, ad un anno di distanza. La sala è gremita dei maggiorenti della Dc, compreso Fanfani. L'ex presidente del consiglio è seduto quando, alle sue spalle, si materializza un uomo, Angelo Gallo, un attivista calabrese della Democrazia cristiana, che, per protestare contro quelle che, per lui, erano le sottovalutazioni dei problemi del lavoro, pensa bene di tirare, con entrambe le mani, le orecchie di Fanfani. Non conosciamo il nome del fotografo che immortalò la scena e se essa fosse stata preannunciata o preparata. Fatto sta che lo scatto rimase incollato a Fanfani per il resto della sua carriera, così come il suo viso stravolto dalla sorpresa e dal dolore.
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