In Italia circa 300mila anziani avrebbero bisogno di cure palliative, ma solo uno su sei riesce ad accedervi. È un dato che pesa, e che fotografa uno dei paradossi del nostro sistema sanitario: una legge – la 38 del 2010 – che riconosce il diritto universale alla terapia del dolore e alle cure palliative, e una realtà che continua a negarlo nella pratica.
Cure palliative, necessarie per 300mila anziani ma solo il 15% le riceve
Dietro le cifre ci sono persone: uomini e donne fragili, spesso affetti da più patologie croniche, che vivono gli ultimi mesi della loro vita tra dolore fisico, solitudine e assistenza frammentata. Non si tratta solo di un tema medico, ma di una questione civile e culturale: garantire un fine vita dignitoso è parte essenziale di un Paese che vuole definirsi umano.
Il doppio valore delle cure palliative
Le cure palliative, sottolinea Graziano Onder, professore di Medicina e Cure Palliative all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e co-coordinatore dell’indagine promossa dalla Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG), non servono solo ad alleviare la sofferenza: “Oltre ai benefici clinici e psicologici, l’adozione precoce delle cure palliative ha dimostrato di contribuire a una maggiore efficienza nell’impiego delle risorse sanitarie, riducendo i costi complessivi dei trattamenti e la durata dei ricoveri ospedalieri. In altre parole – spiega Onder – le cure palliative precoci non solo migliorano la qualità della vita del paziente, ma rendono anche il sistema sanitario più sostenibile ed efficace.”
Un concetto chiaro e misurabile: prendersi cura, prima e meglio, fa bene ai pazienti e al sistema.
Il gap tra diritto e realtà
Eppure, nonostante la Legge 38/2010, resta un divario profondo tra bisogno e risposta. Gli hospice e le unità domiciliari non bastano. A ricordarlo è Monica Torrini, dirigente medico di Geriatria all’Ospedale Careggi di Firenze e membro del Gruppo di Studio SIGG “La cura nella fase terminale della vita”: “Non solo gli hospice e le unità domiciliari, ma anche le strutture residenziali per anziani e gli ospedali concorrono in modo complementare alla gestione di anziani vulnerabili, che hanno bisogno di cure palliative specifiche, continue e personalizzate. È per questa ragione che la survey serve anche a sensibilizzare gli operatori di questi setting, facilitando la presa in carico dei bisogni dei pazienti ospiti di queste strutture.”
Un richiamo netto: l’approccio deve diventare trasversale, integrato, capace di attraversare i diversi livelli dell’assistenza.
La nuova indagine SIGG
L’indagine, spiegano Onder e Nicola Leosco, si svilupperà attraverso un questionario destinato a medici e infermieri, con l’obiettivo di costruire una mappa reale dei bisogni palliativi degli anziani italiani. Verranno analizzati indicatori come dolore, malnutrizione, ulcere da decubito, perdita di autonomia, declino cognitivo e delirium, ma anche parametri più complessi come il numero di ricoveri non programmati e il calo ponderale.
Il fine è uno: individuare precocemente i pazienti che necessitano di cure palliative, prima che la loro condizione si aggravi e li costringa a un percorso di sofferenza evitabile. È una diagnosi del bisogno, prima ancora che della malattia.
Il tempo della cura, non della rinuncia
In Italia, troppo spesso, le cure palliative vengono ancora percepite come “l’ultima spiaggia”, un accompagnamento al morire. Ma è un equivoco culturale che ne limita la portata. Le palliative sono – come ricordano gli esperti – un modo diverso di curare, non un arrendersi alla malattia. Significano controllo del dolore, sostegno psicologico, continuità assistenziale e qualità della vita fino all’ultimo giorno.
In un Paese che invecchia rapidamente, e dove la solitudine è la prima forma di malattia cronica, le cure palliative sono una necessità collettiva, non una specialità per pochi. Rappresentano la linea di confine tra un sistema sanitario che si limita a curare e uno che sceglie di prendersi cura.
La sfida di un nuovo paradigma
L’indagine SIGG, in fondo, è anche un atto politico e morale: riportare al centro della medicina la dimensione umana del limite. È la prova di un sistema sanitario che deve imparare a riconoscere il valore della qualità di vita, e non solo della quantità di cure erogate.
Investire in palliative non significa solo risparmiare risorse, ma riconoscere il diritto al sollievo, alla dignità, alla prossimità. Significa dire che la vita, anche quando declina, resta vita.
Oggi solo il 15% di chi ne avrebbe bisogno riceve assistenza palliativa. Ma quei numeri, più che statistiche, sono una misura di civiltà. E ogni volta che restano fermi, ricordano all’Italia che il diritto a morire bene è parte del diritto a vivere meglio.