Osservatorio Cpi: "Tassa minima globale sulle multinazionali, perché l’Europa ne beneficerà poco"

- di: Giuseppe Castellini
 
Quale impatto avrà davvero per l’Unione europea la proposta per introdurre una tassa minima globale del 15% sui profitti delle multinazionali, sottoscritta da 132 Paesi, che prevede anche l’introduzione di un meccanismo per ripartire tra Paesi una parte dei profitti delle multinazionali più grandi sulla base della geografia delle vendite al posto della residenza, come avviene oggi?

La risposta arriva da un ottimo studio (curato da Giulio Gottardo) dell’Osservatorio conti pubblici italiani (Osservatorio Cpi) diretto da Carlo Cottarelli, che rileva come, per quanto riguarda l’aliquota minima, "molti dettagli sono ancora da definire e il 15 per cento è una soglia bassa, ma nel complesso è stato raggiunto un risultato ragguardevole, per vari aspetti senza precedenti. Invece, per la ripartizione geografica dei profitti le soglie stabilite sono decisamente timide, dato che includerebbero soltanto una frazione dei profitti di poche centinaia di imprese".

Più in dettaglio, Il meccanismo è stato concepito per funzionare anche qualora alcuni Stati mantenessero delle aliquote sui profitti minori rispetto a quella concordata dai 132 Paesi. Quest’ultima, in base all’accordo preliminare, dovrà essere almeno del 15 per cento e si applicherà a tutte le imprese multinazionali con almeno 750 milioni di euro di ricavi. La base imponibile, come altri importanti aspetti tecnici quali la precisa definizione di ricavi, dovrà essere definita con accordi successivi, ma sarà omogenea tra Paesi (ovviamente) e basata sulla contabilità finanziaria delle imprese.

Per ‘aggirare’ il problema degli Stati con aliquote effettive minori del 15 per cento e che non hanno sottoscritto l’accordo, i Paesi in cui si trova la casa madre di una multinazionale potranno prelevare da questa le imposte non pagate spostando altrove i profitti (profit shifting). In altre parole, se Apple pagasse in Irlanda invece che negli Stati Uniti (Paese della casa madre) le imposte su profitti per 30 miliardi a un’aliquota del 12,5 per cento, il fisco americano preleverebbe da Apple 750 milioni (il 2,5 per cento di 30 miliardi) in aggiunta alla normale imposizione domestica, portando l’imposizione totale sui profitti di Apple almeno al 15 per cento. Non solo, qualora la casa madre di una multinazionale si trovasse in un Paese con un’aliquota minore del 15 per cento, gli Stati che hanno ratificato l’accordo tasseranno le sussidiarie locali di questa multinazionale per integrare il mancato pagamento di imposte dovuto alla collocazione della casa madre. Il meccanismo descritto garantirebbe quindi un’imposizione effettiva almeno del 15 per cento e allenterebbe considerevolmente gli incentivi alla competizione fiscale tra Paesi.

Ma l’Europa ne beneficerà poco
Per lo studio dell’Oservatorio Cpi, tuttavia, "la timidezza dell’accordo sulla ripartizione geografica dei profitti è forse il punto più problematico, in particolare per l’Europa. Infatti, mentre gli Stati Uniti hanno in larga parte raggiunto l’obiettivo di tassare i profitti contabilizzati all’estero delle proprie multinazionali, una versione più aggressiva dell’accordo avrebbe consentito ai Paesi europei di tassare la parte di profitti delle multinazionali estere generata sui loro mercati (in particolare le imprese tecnologiche americane). Questo invece avverrà solo in minima parte, visto che i criteri per ora concordati esenterebbero addirittura i profitti di Amazon dalla ripartizione geografica".

Non solo, ma l’accordo prevede ì"la rimozione di tutte le tasse sui servizi digitali e misure simili su tutte le imprese”. In pratica, rileva l’Osservatorio, "questo passaggio assicura che i Paesi europei non possano gestire unilateralmente la tassazione dei profitti generati sul loro territorio dalle multinazionali tecnologiche americane, rendendo la tassa minima globale e il ‘formulaic approach’ dell’accordo gli unici strumenti disponibili".
In sostanza, per l’Europa questo accordo è un successo sul fronte della tassazione delle proprie multinazionali che praticano il profit shifting, ma comporta un risultato modesto sul fronte della tassazione dei giganti tecnologici.
"Tuttavia" - conclude l’Osservatorio Cpi - "anche la strada di una tassazione unilaterale delle società tecnologiche americane non sarebbe stata facilmente percorribile per possibili ritorsioni da parte del governo statunitense".

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