Letta alla guerra di Siena senza lo scudo del simbolo Pd
- di: Diego Minuti
Enrico Letta sembra confermare, nel suo recente percorso politico (da quando, cioè, ha assunto la guida del Partito democratico, repentinamente orfano della segreteria di Nicola Zingaretti), la definizione che Paolo Giordano usò per il suo fulminante (e premiatissimo) esordio nella letteratura, ''La solitudine dei numeri primi''. Anche se forse sarebbe più vicino alla realtà dire che Letta è solo come spesso sono i ''numeri uno'', quelli dalle cui decisioni dipendono, da ''capo'', le sorti di qualcosa o qualcuno. Nel suo caso, il Pd.
Ogni sua singola parola, espressione, aggettivo, proposta finiscono nel tritacarne della critica che, parlando a livello di politica, spesso lo riempie di contumelie anche se lui solo si limita a dire che non piove o che sta andando in pasticceria a comprare pastarelle. Per questo sorprende meno di zero il coro di critiche che si è levato nei suoi confronti quando ha annunciato che, alle suppletive per ''coprire'' il posto lasciato vacante da Pier Carlo Padoan nel collegio uninominale di Siena, si presenterà rinunciando al simbolo del Pd, per proporsi all'elettorato con un ''Con Enrico Letta'', spartano, quasi monacale, comunque una prima assoluta per un segretario nazionale di un partito che non ne sfrutta elettoralmente la scia propagandistica.
I motivi di questa scelta li ha spiegati lui stesso dicendo di avere voluto in questo modo superare il concetto di candidato di un singolo partito, rappresentando così l'intera coalizione che lo sostiene e che va oltre i confini del Partito democratico. Un ragionamento che non farebbe una piega se non parlassimo di un politico a capo di un partito importante che solo per questo ha dei nemici, a cominciare da Lega e Fratelli d'Italia che sulla scelta di Letta hanno ricamato con filo intinto al curaro. Ma senza potere affondare di più il colpo, se non ricordando vicende in cui c'è il Pd, ma non certo Letta, tanto che le polemiche sembrano destinate ad inaridirsi per mancanza di argomenti.
Ma, a volere essere pedanti, non è che la spiegazione di Letta sia di quelle che tagliano alla radice ogni possibile retropensiero. Perché sarebbe ipocrita dimenticare che a Siena il Pd viene visto come uno dei responsabili (per molti, il più responsabile di tutti) della catastrofe che si nasconde dietro un acronimo, MPS, che ha fatto, da tempo immemorabile, la storia della città. Il Monte dei Paschi naviga in acque limacciose e infide che sono tali anche perché la classe dirigente che ne ha retto le sorti era espressione di un establishment con una precisa connotazione politica esattamente sovrapponibile alle varie mutazioni del vecchio e proteiforme Pci. Quindi era mossa abbastanza scontata la decisione di Letta di apportare una cesura - sia pure a livello di nome alla sua lista - con un passato che è, parlando di MPS, ancora presente.
Letta, probabilmente, vincerà a mani basse, anche perché i suoi avversari non sembrano in grado di batterlo. Ma sarà forse la sua prima vittoria da quando ha assunto l'onere della segreteria, perché le sue mosse sembrano essere improntate più che a ricostruire un partito allo sbando (che dovrebbe essere il suo principale obiettivo), a combattere la sua personale battaglia con Salvini. Non è che siano battaglie poco comprensibili, ma essendo di principio stentano ad essere capite dal popolo del Pd e, più in generale, da un Paese che prima di risolvere questioni morali ed etiche (importantissime, intendiamoci) vorrebbe sentire parlare di politiche del lavoro, di economia, di lotta a fenomeni distorsivi (come l'evasione fiscale), di pace sociale (o almeno di armistizio).
Bene parlare di ius soli e altri argomenti dello stesso importante livello, ma mentre il Paese sembra essere sempre sul punto di implodere per le tensioni sociali forse trovare altri argomenti non sarebbe male.