Referendum: un voto contro la casta? Andiamoci piano

- di: Diego Minuti
 
Il referendum sul taglio del numero dei parlamentari - storico, ma non il solo, cavallo di battaglia dei Cinque stelle - si avvicina a grandi passi, ponendo interrogativi su un argomento che da sempre attizza la furia contro la classe politica nostrana. Anche perché cresce la consistenza del numero di coloro che chiedono di riflettere su un 'giochetto' che, nato per catturare consensi, sembra essere sfuggito di mano ai suoi ideatori.

Se l'argomento sul quale i sostenitori della riduzione del numero dei parlamentari è quello del risparmio non è che c'è da stare allegri. Perché, a fronte di minori spese per un centinaio di milioni di euro, si assisterebbe ad un taglio non tanto dei numeri, quanto della rappresentatività degli eletti.

Questo perché appare abbastanza scontato che, abbassando il numero dei parlamentari e quindi proporzionalmente dei candidati, si alza il potere di indicazione/cooptazione che viene dalle segreterie di partiti e movimenti.
È, questo, un calo di democrazia? Non esattamente, ma il numero dei parlamentari dovrebbe essere proporzionale alle istanze di cui loro sono chiamati ad essere portavoce, non essere stabilito per legge o conseguenza di essa.

Se il presupposto è questo (meno parlamentari, più risparmi) ci sarebbe da chiedersi, a questo punto, estremizzando il ragionamento, perché non portare le Camere al minimo. Per decidere e legiferare basterebbero poche decine di soggetti dalla testa pensante.
Ma torniamo a parlare seriamente di un problema che non è solo una bega politica, ma che diventa di sostanza.

In un intervento televisivo, ieri, un esponente dei Cinque Stelle (parlamentare europeo, dopo essere incappato in qualche dolorosa bocciatura in precedenti elezioni) ha detto che votando sì al referendum si sconfiggerà la ''casta''. Concetto che non dice assolutamente nulla, soprattutto se ad usarla è qualcuno di coloro che, sino a pochi anni fa, dicevano di volere aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno e che ora, invece, sugli scranni, ma soprattutto sulle poltrone, si trovano bene. Anzi benissimo.

Qual è quindi la casta che si vuole sconfiggere, posto che ormai in questa classificazione - che ha sempre, nel comune pensare, una accezione negativa, quasi criminale - rientrano a pieno titolo gli stessi che ne sostengono a parole l'abbattimento?
Siamo sicuri che un parlamento a ranghi ridotti sia il simbolo di una democrazia rappresentativa migliore di quella attuale? Il dubbio che emerge è che il primo risultato visibile che la riforma otterrebbe sarebbe la sparizione dei giovani o che ancora si ritengono tali, della nuova linfa che sarebbe sacrificata ai ''bilancini'' delle segreterie che tutto faranno meno che inimicarsi i cacicchi del partito.

Accadrà che, a liste più scarne (il ragionamento riguarda anche i Cinque stelle, che hanno fatto a pezzi il loro dogma del doppio mandato per fini meramente strumentali), ci saranno i soliti nomi, non dando alcuna possibilità di proporsi al voto degli elettori, e quindi a candidarsi a contribuire alla guida del Paese, agli outsider, a quelli che, in passato, erano il motore dei partiti. Quelli, insomma, che figuravano nelle liste come portatori d'acqua, ma che non erano certo soltanto collettori di voti. Ma il popolo è sovrano, e quindi, considerata la rabbia che si sta portando dentro e una certa propaganda ('politico' uguale 'ladro'), il taglio del numero dei parlamentari appare imminente.

Ma a quale prezzo? Meglio forse sarebbe stato ripensare alla funzionalità del Parlamento, al fatto che le due Camere hanno eguali competenze, cosa che comporta un continuo rimpallo di una legge da Camera e Senato e viceversa.
La nostra democrazia, nel bene e nel male, ha saputo rigenerarsi nel corso dei decenni, sconfiggendo nemici ben più pericolosi del sospetto. Ma questo la ''nuova casta'' sembra non saperlo.
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