La resa dello Stato davanti al rave party di Valentano
- di: Diego Minuti
Anche lo spirito più libertario davanti allo spettacolo del rave party illegale di Valentano, in provincia di Viterbo, non può mantenere un atteggiamento distaccato, liquidando l'accaduto come un eccesso di giovanilismo, in qualche modo giustificato dai tanti mesi trascorsi tra distanziamento, mascherina e lockdown.
Quanto accaduto a pochissima distanza da un'oasi naturalistica, quella del lago di Mezzano, può essere spiegato in tanti modi. Uno dei quali è che lo Stato si è incredibilmente arreso davanti all'arroganza di migliaia di persone, giunte anche da molti Paesi europei, che come cavallette si sono impossessate, devastandola, di una porzione del territorio nazionale, a dispetto di autorizzazioni che non c'erano e nel totale disprezzo delle convenzioni che, per molti, ancora esistono.
Sono molte le cose che sconcertano in quanto accaduto, a cominciare del fatto che rimangono incomprensibili le circostanze che hanno reso possibile che un simile assembramento si sia determinato senza che qualcuno intervenisse prima (farlo ora è beffa che si aggiunge a beffa). Nessuno ha visto la teoria di autovetture, molte con targa straniera, che si dirigevano nell'area deputata ad ospitare musica ad altissimo volume, senza una regola e mostrando disprezzo verso gli altri?
Nessuno ha capito quanto stava per accadere vedendo montare giganteschi amplificatori, necessari affinché la musica arrivasse il più lontano possibile e a volume altissimo?
Sembra folle chiedersi perché nessuno abbia pensato che una simile massa indistinta di giovani potesse provocare danni all'ambiente (chi pagherà i costi della bonifica del terreno?), ma anche alla proprietà?
Si sa che in raduni del genere la possibilità di approntare un minimo di misure di sicurezza è pari allo zero se non lo si fa prima, se non si filtrano gli arrivi, se non si controllano identità e carichi delle vetture. Così non è accaduto e nell'area del party è circolato di tutto, a cominciare dall'alcool, come certificato da decine di giovani in coma etilico. Tacendo dal sospetto (per tanti certezza) che il giovane italo-britannico morto annegato si sia tuffato nelle acque del lago completamente sbronzo.
Le cronache di oggi aggiungono ulteriore sgomento per l'accaduto: si parla di almeno due ragazze stuprate; di centinaia di siringhe sparse qui e là; di cani, di proprietà dei giovani, lasciati morire di sete e fame, sotto il sole, mentre i proprietari erano impegnati in altro; si parla di rapine ai danni di negozi del paese. Che oggi 300 uomini delle forze dell'ordine presiedano alle operazioni di smantellamento del campo è ben misera soddisfazione, perché il danno (e che danno!!) è stato fatto soprattutto all'immagine dell'Italia dove, da oggi, chiunque è autorizzato a pensare che, se ne abbia voglia, può arrivare, piantare tende e parcheggiare roulotte e dare il via alle danze nella quasi certezza che non avrà alcuna conseguenza pratica dall'intervento dello Stato.
In altri tempi, attingendo al dizionario, si sarebbe dovuto andare a leggere il significato della parola ''responsabilità'' che pare sia sparita dal lessico quotidiano.
C'è un responsabile di quanto è accaduto? Non parliamo dell'inchiesta che, probabilmente, la procura di Viterbo ha già avviato e che, crediamo, oggi sia solo a carico di ignoti, ma di chi ha il compito di vegliare, giorno e notte, quindi anche in agosto, sulla sicurezza di tutti e tutto, di uomini, animali, cose. Una circostanza che, a Valentano, non c'è stata dal momento che lo Stato non si è palesato con i suoi rappresentanti a reprimere, anche con la forza, l'occupazione di una porzione di territorio nazionale. È un paragone assoluto ardito, ma forse la gente comune si aspettava che lo Stato reagisse con la stessa durezza di quando sgombera uno stabile occupato illegalmente o quando difende delle opere pubbliche dall'assalto di una minoranza di persone che ricorre ingiustificatamente alla violenza.
A meno che il responsabile di tutto sia il comandante della polizia municipale di Valentano, per il solo fatto di essere l'ultimo della catena delle responsabilità. Si potrà dire che in queste settimane abbiamo ben altro a cui pensare (Afghanistan, Covid, incendi, occupazione) che non di quel che accade nella lontana provincia di Viterbo. Ma sarebbe sbagliato perché, facendo ''quel che non s'è fatto'', lo Stato ha dimostrato tutta la sua debolezza o, se vogliamo dirla in un altro modo, la sua inadeguatezza quando, come in casi del genere, l'importante è la proattività e non la reattività, semmai ce n'è una.