Quirinale e democrazia: la politica non abdichi al suo ruolo

- di: Diego Minuti
 
Tra qualche giorno parte la giostra del Quirinale e, con essa, la partita tra coloro che devono decidere il destino non solo della massima carica dello Stato, ma anche quello politico del Paese (la presidenza del consiglio). La fotografia dell'oggi restituisce una immagine sfocata della situazione, che non è così complessa come appare, perché le decisioni non vengono certo prese davanti a telecamere, registratori o taccuini.
Quindi, ora tutti in attesa. Ma, a fronte di un quadro complesso, in cui si intrecciano più vicende (dalle ambizioni personali di qualcuno ai ricattucci di chi sopravvaluta il proprio ruolo e, quindi, il proprio peso politico), balza evidente una possibilità, affatto remota. Quella che, alla fine del gioco, Quirinale e Palazzo Chigi vengano affidati a persone che non sono passate per il vaglio dell'elettorato, segnando di fatto la fine della politica intesa come tramite tra lo Stato e il popolo.

Quirinale: si avvicina il momento della scelta del prossimo Presidente della Repubblica

Stiamo dicendo che, nel momento in cui l'attuale inquilino di Palazzo Chigi dovesse trasferirsi al Quirinale e il suo sostituto - per calmare gli appetiti e le ambizioni dei vertici politici della coalizione - fosse scelto tra i ministri tecnici, per la prima volta nella storia della Repubblica a decidere le sorti del Paese sarebbero persone certamente valide e al di sopra di ogni critica, ma che non hanno mai affrontato il giudizio dell'elettorato.

Sarebbe non solo la fine della politica, intesa come il solo trait d'union tra istituzioni e popolo, ma anche della sua funzione di rappresentanza delle istanze che vengono dal basso.
Recenti notizie di cronache sembrerebbero avere dato l'ultima spallata alla credibilità (politica; su quella penale aspettiamo che si pronunci la magistratura giudicante) a un movimento, i Cinque Stelle, che si promuoveva dicendo che avrebbe ribaltato le coordinate della politica ''marcia'', mandando a casa quelli che per loro erano solo esponenti di un circolo ristretto di profittatori che guardano al loro interesse. È bastata la notizia che il fondatore-garante dei Cinque Stelle, Beppe Grillo, è inquisito per avere chiesto ai suoi (parlamentari e forse anche di più) di spendere il proprio impegno per aiutare un armatore ''amico'', che il grido di ''onestà, onestà'' sia apparso per quello che era, uno slogan studiato a tavolino per rastrellare il consenso di quelli che pensano che la politica sia solo un mezzo per arricchirsi e nient'altro.

Ora, quindi, è come se lo scenario disegnato dai grillini, che si ritenevano gli unici abilitati a guardare gli altri dall'alto di una presunta intangibilità morale, fosse stato resettato e tutti siano a parlare e a discutere, sapendo comunque che nessuno è immune da tentazioni.
La nostra politica, comunque, al di là delle distorsioni che mostra quotidianamente, è un bene da tutelare perché è il solo modo che il Paese ha di fare sentire la sua voce, che forse talvolta è tradita perché perde di forza mano a mano che si avvicina al Palazzo. Ma della politica, anche di ''questa'' politica, non si può fare a meno perché, ''cedendo'' Quirinale e Chigi a due tecnici, la ferita per la democrazia - intesa come massima forma di rappresentanza - sarebbe gravissima. E desta sensazione il fatto che di questo non si parli, quasi che sia normale il fatto che, a rappresentare il Paese anche sullo scenario internazionale, siano due soggetti scelti per capacità e cursus honorum e non perché indicati dal popolo.

E' già accaduto che un ''non politico'' sia stato eletto alla massima carica dello Stato (Carlo Azeglio Ciampi), ma non che, contemporaneamente, il governo del Paese fosse affidato ad un tecnico. Cedere a due ''non eletti'' le poltrone più importati del Paese sarebbe la presa d'atto che la politica ha fallito nella sua missione e, con lei, falliremmo tutti.
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