Il Governo faccia presto, aumentano veri poveri e disoccupati
- di: Diego Minuti
Sono due i numeri sui quali il governo dovrebbe riflettere per definire cosa sta accadendo al Paese, assediato dalla pandemia che sta moltiplicando i suoi avvilenti numeri.
Il primo (fonte sindacale) è che nel 2020 si sono persi 500 mila posti di lavoro (con nome milioni in cassa integrazione), il secondo (reso noto proprio oggi dall'Istat) sottolinea che la crisi ha provocato, nel giro di appena un anno, un milione di veri poveri in più.
C'è poco da commentare, sono numeri che non hanno bisogno nemmeno di spiegazioni o profonde analisi, perché in fondo tutti ce lo aspettavamo, come conseguenza di una condizione di debolezza della nostra economia, su cui la pandemia ha avuto buon gioco nell'acuire una condizione che era già a rischio prima dell'esplodere del Covid-19.
Qualche considerazione, però, bisogna pure farla non tanto su come si sia arrivati a questa situazione, quanto su quello che è lecito aspettarsi dal governo per frenare l'emorragia dei posti di lavoro che si perdono e si rischia di non ritrovare e quindi l'ampliarsi di sacche di povertà vera, non quella drogata da false dichiarazioni dei redditi, come quelle alle quali una certa e purtroppo non marginale fetta delle nostre categorie produttive autonome ci hanno abituato.
Diamo atto al governo presieduto da Mario Draghi di essere arrivato da troppo poco tempo per potere dimostrarsi determinante nella lotta alla disastrosa situazione economica, ma paradossalmente "paga" le immense aspettative che sono state riversate su di lui e sull'esecutivo all'atto del primo manifestarsi all'orizzonte del suo predecessore.
L'agenda di Draghi, immaginiamo, sia fitta di impegni, nei quali speriamo siano state inserite anche l'adozione di misure di sostegno reale per chi alla crisi rischia di non sopravvivere, dal punto di vista del lavoro, subordinato o meno.
Un po' tutti i governi europei, anche quelli che rappresentano i Paesi ricchi, stanno cominciando a fare trapelare le loro serie preoccupazioni su cosa la pandemia si lascerà veramente alle spalle, che non saranno solo i ristoranti che non riapriranno, o anche i bar o i piccoli negozi. Il timore, che rischia di tramutarsi in certezza, è che gli sforzi di oggi saranno pagati dalle generazioni future, alle quali sarà chiesto di sopportare (in termine di carico fiscale) i costi che si affrontano oggi per contrastare la crisi. Che sta colpendo veramente tutti e se ne può avere conferma leggendo i quotidiani stranieri che resocontano, a cadenza quasi quotidiana, che anche storiche catene di negozi o la grande distribuzione sono letteralmente in ginocchio, sia per le misure che limitano gli spostamenti, che per il fatto che di soldi non ne sono rimasti molti nella tasche della classe media.
E se le chiusure stanno colpendo (parliamo dell'estero) soprattutto negozi di beni non essenziali - come quelli d'abbigliamento, che ne sono un esempio lampante -, bisogna guardare con preoccupazione anche agli esercizi di prossimità, quelli di quartiere specialmente quelli che hanno i locali in fitto e che non ce la faranno a tirare avanti ancora per troppo tempo.
Per questo bisogna fare in fretta, perché le categorie produttive sono tante e quasi tutte ad un passo dal tracollo.
Chiamateli come volete, ristori, prestiti, erogazioni a fondo perduto, ma - ci rivolgiamo al nostro Governo - fate presto, perché se la pandemia è una emergenza sanitaria, quella di chi non ce la fa più ad andare avanti non lo è di meno.