Non è vera Giustizia quella dei processi politici in piazza

- di: Diego Minuti
 
La giustizia è uguale per tutti, a meno che, nei ''tutti'', non ci siano avversari ideologici da mettere sulla pira dell'opinione pubblica per essere immolati al dio della convenienza e dell'opportunismo politici.
L'Italia (che comunque comincia ad essere in buona compagnia) ha una giustizia che viaggia su un doppio binario: quello dello Stato, affidato all'ordine giudiziario, e quello di piazza, dove anche il più ignorante dice la sua.
Non che non possa farlo (il diritto d'espressione è uno dei fondamenti delle democrazie), ma se persegue un fine che non è di giustizia, volendo solo affossare gli avversari, ecco che il quadro cambia.

Ho avuto già modo di dire, in precedenza, che, per età anagrafica, appartengo ad una scuola giornalistica in cui i magistrati (soprattutto gli inquirenti, quelli che alimentano la cronaca giudiziaria) dicevano lo stretto indispensabile, spesso affidandosi all'ufficialità dei loro atti.

Questo era e questo, per i giornalisti, doveva bastare spingendoli alla ricerca disperata di altre fonti. Poi, ma è un mio giudizio, è arrivato ''Mani pulite'', con la spettacolarizzazione della funzione inquirente diventata, agli occhi della gente, anche giudicante, scavalcando passaggi essenziali di una giustizia che onori il suo nome.

Basta solo ricordare i capannelli ai quali i giornalisti erano costretti, sulle scale o davanti a porte serrate, per elemosinare frammenti della "verità" centellinata dai pm - non più solo quelli di Milano: certe abitudini hanno grande facilità a valicare i confini -. Quelle immagini, moltiplicate mediaticamente all'infinito, hanno creato una nuova comunicazione tra magistrati e resto del mondo, spesso per interessi investigativi, nel senso che una notizia fatta filtrare poteva mettere in moto reazioni utili alle indagini.

Ma il guado è stato passato quando quella giustizia dagli uffici di procura è arrivata alla piazza, in spregio alla politica, subissata l'altro ieri di monetine (Bettino Craxi all'uscita dell'hotel Raphael, il 30 aprile del 1993), ieri di 'vaffanculo' di grillino imprimatur, oggi di manifestazioni violente.
Intendiamo: parlo della politica nel senso più lato, non dell'uso che di essa si fa o si faceva per interessi personali o per quelli di un partito. Ma ancora oggi, a distanza di decenni, vedo la manifestazione contro Craxi (di cui ora si comincia a intuire la non totale spontaneità) non come esercizio del libero potere di contestare, ma una anticipazione di un giudizio che non spetta alla folla, che ha pensieri dettati dall'ira del momento o anche da manovre mirate a questo o quell'obiettivo, ma non certo per affermare la Giustizia.

Uno di questi casi di giustizia di strada (che non è stata sommaria, essendo conseguenza di un precisa strategia politica) è la vicenda umana, ancor prima che giudiziaria, di Simone Uggetti (nella foto) che, nel 2016, quando era sindaco di Lodi (per il Pd), fu arrestato con l'accusa di turbativa d'asta. Non certo il primo, purtroppo, e neanche l'ultimo. Ma per sua sfortuna Uggetti finì in carcere nelle settimane precedenti ad una importante tornata di voto amministrativo che interessava molte grandi città. Quindi, suo malgrado e nonostante le molte attestazioni di stima, non solo dei suoi compagni di partito, Uggetti fu considerato da alcuni partiti e movimenti (non credo ci sia bisogno di spiegare quali, visto il profilo giustizialista che tengono, ovviamente quando riguardano avversari politici) il migliore argomento per attaccare, con manifestazioni e sit-in, il Partito democratico, con tantissimi saluti alla presunzione di colpevolezza, cui si fa riferimento solo quando conviene. Ora, a distanza di anni, la corte d'appello, ribaltando la prima sentenza, ha assolto, con quella che potremmo definire formula ampia, Simone Uggetti da ogni accusa.

Una soddisfazione post mortem (politica) di un sindaco che era amato dai cittadini e che, per la tortuosità delle strade della burocrazia, si è ritrovato in galera.

Come si dice in casi del genere, ora chi lo risarcirà?

È un problema di coscienza perché il livore con il quale la piazza si scagliò contro di lui per quella singola accusa, eleggendolo a simbolo dell'affarismo marchiato Pd, sembrò pure allora esagerato anche rispetto agli standard barricaderi, ad esempio dei Cinque Stelle, all'epoca movimento antisistema se ce ne era uno. Uno schema ripetuto, persino banale, che però mostrò un volto della politica che, in precedenza, era sottaciuto per il rispetto di un galateo istituzionale, che però l'elevazione dell'insulto a messaggio politico (il ''vaffa''' di cui sopra) aveva già cancellato.

L'assoluzione di Uggetti gli ha restituito l'onore, che è ben magra soddisfazione dopo essere stato additato come il Male assoluto, epitome di un malaffare che non poteva che essere pasciuto dall'ideologia rapace addebitata al Pd.

Ma se l'arrestato fosse stato di un'altra fazione politica, lo spartito non sarebbe cambiato perché, a differenza di quelli veri, i processi in piazza hanno un verdetto scontato.

Di scuse - una sola a dire il vero - a Uggetti, comunque, ne sono arrivate e sono importanti, venendo da chi, nel 2016, era il punto di riferimento dei grillini, Luigi Di Maio. Il ministro degli Esteri, anche se all'ex sindaco oggi serve poco, con una lettera gli ha restituito la dignità strappata'Non vorrei essere frainteso" - ha scritto Di Maio scusandosi con Uggetti e la sua famiglia - "io sono fortemente convinto che chi si candida a rappresentare le Istituzioni abbia il dovere di mostrarsi sempre trasparente nei confronti dei cittadini e che la cosiddetta questione morale non possa essere sacrificata sull'altare di un 'cieco' garantismo. Il punto qui è un altro e ben più ampio, ovvero l'utilizzo della gogna come strumento di campagna elettorale".

Parole come detto importanti, che potevano anche non arrivare. Ma, al di là del profilo di Di Maio, le sue sono scuse personali e non a nome del movimento, la cui guida, sino ad oggi, tace.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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