Conte, in conferenza stampa, eleva l'elusione a metodo di governo
- di: Diego Minuti
Ha deluso e tanto, Giuseppe Conte. C'è da chiedersi se ne sia cosciente o no.
Nella conferenza stampa, tradizionale appuntamento di fine anno per i presidenti del consiglio in cui, più che di bilanci, si guarda al futuro ed a come affrontarlo, il premier ha parlato tanto, ma non di tutto, nel senso che alcuni degli argomenti che più interessavano (e dai quali forse dipende il futuro del suo Governo, ma forse, anzi soprattutto, del Paese) sono stati scalfiti solo superficialmente, quasi evitati, e quando li ha toccati ha fatto capire che, semmai vi sono responsabilità, esse non gli appartengono.
Un premier che, alla prima seria prova della sua ancora breve carriera da statista, ha preferito essere sfuggente, rimandando tutto al comportamento ostativo degli altri. Anche quando non sono certo gli altri a fare muovere il Governo - ormai a sua immagine e somiglianza - con lentezza esasperante, quando invece le circostanze imporrebbero velocità. Ed invece l'esecutivo Conte (qui sì che tutti quelli che ne fanno parte hanno responsabilità, anche chi minaccia e cerca di fare la voce grossa) è lì, che non procede per come dovrebbe, ma fa piccoli passi, si aggrappa, come un bradipo, solo al ramo che ne può reggere il peso, senza invece capire di dovere muoversi con speditezza e quindi di assumersi anche qualche rischio.
A rileggere le frasi di Conte in conferenza stampa ci sarebbe da chiedersi se il primo ministro ha contezza della situazione del Paese (quella del Governo sembra ormai interessare solo a lui ed a chi, da esso, ne ha consistenti ricadute, in termini economici o di potere spiccio) perché, davanti ai problemi legati alla necessità di accelerare in materia di elaborazione dei piani da proporre all'Europa per ottenere i fondi, si è limitato a dire di sì "a corsie preferenziali e percorsi accelerati sul Recovery plan" e che "serve una sintesi politica urgente. Vorrei andare in consiglio dei ministri già nei primi giorni di gennaio. I giorni di festa non valgono".
A questo punto è arrivato forse il momento di spiegare a Giuseppe Conte che è lui il presidente del consiglio e che, di conseguenza, è a lui che spetta velocizzare l'iter di un dossier vitale per l'Italia come quello del Recovery plan. Sentire dire a lui che bisogna andare di fretta è sinceramente sconcertante, perché non si capisce bene a chi si rivolga, posto che a palazzo Chigi c'è lui e non altri. E poi, a chi rinfaccia l'assenza di una "sintesi politica urgente", compito che per definizione spetta al presidente del consiglio?
Per pudore saltiamo a pie' pari argomenti che Conte ha affrontato con una leggerezza pari all'inconsistenza dei suoi argomenti. Come la vicenda della delega ai servizi che non è questione di delega - che gli spetta, certamente -, ma di opportunità e di equilibrio. Ma è ambigua la pervicacia nel volere che essa si risolva in favore di un suo protégé.
Ora è urgente capire cosa egli voglia veramente fare e se, come dovrebbe, abbia compreso che l'esercizio del potere alle volte dà alla testa. A meno di essere preparati ad affrontare ogni tempesta.
Ma Giuseppe Conte oggi sembra dire che il mare è piatto, mentre la sua barchetta viene schiaffeggiata dal libeccio.
Ma, come si usa dire, l'uomo (lui), assaporando il potere, è diventato ambizioso. Un profilo che in tantissimi hanno, ma che, se non si ha nulla su cui poggiarlo, è solo un modo di sentirsi. Non di essere. È come guardarsi allo specchio e ripetersi all'infinito, fino a convincersi che sia vero, "ma quanto sono bello".