Una classe politica che pensa a sé stessa dimentica la dignità
- di: Diego Minuti
Uno dei miei personaggi letterari preferiti si chiama Kostas Charitos, creato dallo scrittore greco Petros Markaris, che lo manda in giro per le strade di Atene per risolvere, da poliziotto, casi che altri non riescono a dipanare. Quando è sotto pressione, quando non riesce a venire a capo di un mistero, Charitos, nel salotto di casa, siede sulla sua poltrona e si perde nella lettura dei lemmi del Dimitrakos, il più famoso dizionario di lingua greca. Lemmi, senza un filo logico da seguire, solo per contrastare l'aggrovigliarsi dei pensieri.
Ecco, è questo che vorrei suggerire ai nostri politici: prendete in mano un dizionario e leggete il significato di una parola, una sola: dignità. E magari se non la riuscite a leggere bene per il carattere microscopico, la riscrivo in grande DIGNITÀ.
È una parola (presente in tutte le lingue) che forse in troppi hanno messo da parte, colpevolmente e dolosamente dimenticata, sacrificandola ai propri desideri che si trasformano in irrefrenabili bramosie quando vedono il traguardo vicino. Ne sono conferma le scene da bassa macelleria politica alle quali siamo costretti ad assistere e che hanno un solo fine, quello di capire che nome mettere sul segnaposto davanti alle poltrone del prossimo governo. Beghe di bassissimo cabotaggio ed altrettanto bassissimo profilo alimentate, pubblicamente, come la ricerca per il meglio del Paese e che invece si riducono ad un Risiko di nomine e, quindi, di distribuzione di quote di potere di cui godrà anche chi oggi dice di agire solo per il bene comune.
Uno scenario da voltastomaco pensando che queste commedie all'italiana (senza con questo volere insultare il genere cinematografico, anzi dandogli dignità di scuola di pensiero e comportamento) si dipanano mentre il Paese sta soccombendo, economicamente e socialmente, sotto i colpi della pandemia, che diventa a questo punto un pretesto e non certo il principale argomento di cui occuparsi.
Sembra quasi che chi si scanna per la ripartizione di poltrone e nomine non guardi all'Italia, non tenga il conto dei morti, non abbia a cuore le sorti di migliaia di aziende e di milioni di lavoratori. Chissenefrega, sembrano dire quelli che, tra minacce ed insulti, stanno preparando l'ultima mano della partita a poker in cui la posta è tutto fuorché la dignità, insultata, vilipesa, sepolta sotto interessi personali e di parte.
Alla fine ci saranno, ma al momento di vincitori non se ne appalesano, e forse è meglio così perché una partita come quella che si sta giocando per non essere apportatrice di sventure deve essere incerta, così da costringere i giocatori a cedere su qualcosa.
Ci fu un tempo in cui, in Italia, ci si nutriva di calcio e festival, ma anche di alta politica perché era il momento storico, ma soprattutto perché c'erano i giusti interpreti. Intendiamoci, non è che non facessero i loro interessi, ma era anche il modo di proporsi alla gente che era diverso, quasi aulico, in cui alla base del confronto c'era il rispetto, non l'arroganza che spesso è sintomo di ignoranza. Non in termini assoluti, ma come mancata conoscenza delle cose. Chi ha seguito quella politica e il confronto tra i leader, tutti, nessuno escluso, ha saputo apprezzare logica, oratoria, furbizia, cinismo, anche cattiveria. Ma con un solo obiettivo: dare una mano all'Italia.
Oggi tutto questo è un ricordo e non è certo quindi un caso se i parvenu della politica sono talmente pieni di loro stessi da ritenere di potere dare lezioni a tutti.
Questo 2021, sul quale tutti puntiamo per risollevarci, è cominciato nel peggiore modo possibile se guardiamo a quanto sta accadendo intorno a palazzo Chigi, dove Giuseppe Conte è arroccato.
Consentitemi una piccola citazione: l'immagine mi ricorda quella di Taketoki Washizu (interpretato da un inarrivabile Toshiro Mifune), il protagonista de ''Il trono di sangue'', il Macbeth in versione giapponese di Akira Kurosawa, che, ben sapendo quale sia la sua sorte, si arrende solo quando viene trafitto da decine di frecce, quasi non riconoscendo quanto sta accadendogli.
Conte teme che, come per Washizu, la sconfitta gli verrà quando la foresta muoverà contro di lui. Oggi, meno attingendo alla letteratura, il presidente del consiglio ricorda chi, prosaicamente, pur davanti all'irreversibilità delle cose, si incolla alla poltrona convinto che questo gli conserverà il potere.
Dignità, appunto.