Quirinale: la disfatta di Casellati spazza via le ambizioni di Salvini
- di: Diego Minuti
Di solito, quando si guarda alle vicende legate all'elezione di un presidente della Repubblica, lo si fa attingendo gli insegnamenti della politica, ma anche della filosofia. Da oggi in questo ristretto novero di disciplinano che aiutano a capire e spiegare è entrata anche la matematica. Perché, anche se possono essere interpretati, i numeri danno sempre un responso inequivocabile. Quindi, anche se da parte degli esponenti del centrodestra i numeri che hanno sancito lo spappolamento delle ambizioni di Elisabetta Alberti Casellati di traslocare da un palazzo all'altro sono oggetto di interpretazione, è evidente che essi restano lì e suonano come pesantissima sconfitta non tanto della presidente del Senato, quanto del disegno politicamente suicida di Matteo Salvini nella corsa al Quirinale.
Quirinale: la disfatta di Casellati certifica la sconfitta per Matteo Salvini
Sul quale grava tutta intera la responsabilità di avere tentato un golpe per portare al Quirinale un candidato che, già poco gradito ad una parte del suo stesso partito (Forza Italia), si è fatto ingolosire dalle sirene del capo leghista, che sembra avere perso di vista la concretezza e, soprattutto, la consapevolezza della propria capacità di rinsaldare le fila del centrodestra.
Una bocciatura di Casellati ci poteva anche stare, come insegnano precedenti storici in materia, quando le certezze sono state impallinate dal fuoco amico, celato dal segreto dell'urna. Ma qui non si disquisisce di esito del voto, ma di ampiezza della debacle.
Perché Elisabetta Casellati ha sentito pronunciare il suo nome solo per 382 volte, quando la coalizione del avrebbe dovuto esprimere 453.
Quindi, 71 voti in meno che si sono persi per strada e, dal momento che Lega e Fratelli d'Italia si sono premurati a dire che sono stati compatti sulla candidatura di Casellati, i sospetti cadono pesantemente su Forza Italia.
Altro che fuoco amico: è stata una fucilazione in piena regola.
La prima votazione della giornata è già andata in archivio (strano, comunque, che a controllare se sulle schede ci fosse il suo nome c'era proprio la presidente del Senato) e anche la seconda è stata neutralizzata da astensioni e schede bianche. Se ne riparlerà domani, ma il dato politico è chiarissimo. Quanto accaduto oggi è una sconfitta cocente di Matteo Salvini che, cercando di intestarsi l'ipotetica elezione della sua e sua soltanto candidata, ha incrinato il centrodestra, ma anche posto delle serie perplessità sul futuro del governo, dal momento che il ''Capitano'' prima o poi sarà chiamato a rispondere del suo stare con un piede in due staffe, governando e ergendosi a capo di una parte consistente dell'opposizione. Quale fosse il disegno di Salvini è chiaro. Lo è meno capire su quali basi egli lo abbia costruito, dal momento che, come pare, nessuno ha ufficialmente appoggiato il suo progetto, al di là dell'invito di Silvo Berlusconi - che certo non poteva fare altrimenti - a votare la Casellati. La sconfitta di oggi è di Salvini, ma, per paradossale che possa sembrare, ad essa non corrisponde una vittoria del centrosinistra, schiavo dell'andamento ondivago dei Cinque Stelle che non hanno una linea condivisa al loro interno, dove in troppi ritengono di aver voce in capitolo, ma anche all'esterno, dove le laconiche esternazioni di Beppe Grillo servono solo a lui e ad aumentare la confusione.
Le frizioni interne al centrodestra non sembrano destinate ad essere composte almeno nelle prossime ore (lo ''scazzo'' tra Toti e La Russa in transatlantico ha dato di esse solo un piccolo esempio, temperato dall'austerità del luogo). Ma questa opportunità non sembra essere colta da Letta e Conte, che continuano a studiarsi come se il tempo non finisse mai. E invece di tempo ne è rimasto veramente poco, non per la liturgia della politica, quanto della sopportazione della gente comune che non riesce a capire come la massima carica dello Stato possa essere ostaggio delle ambizioni dei singoli.
Questo non sembra scalfire la fiducia che Matteo Salvini ha in sé stesso e che dovrà mettere alla prova già domani, quando tutti - amici, nemici, alleati, traditori - si aspettano da lui un altro nome, l'ennesimo. Di papabili ne ha indicati tanti, qualche volta a sproposito perché la quantità delle 'nomination' è spesso andata a scapito della qualità. Ma l'uomo è furbo, di quella furbizia animalesca che gli ha sempre consentito di superare anche le tempeste. Quindi, quale nome potrebbe fare?
La logica ne suggerisce solo uno, Pier Ferdinando Casini, un uomo per tutte le stagioni che, anche solo per il fatto d'essere stato eletto col Pd, creerebbe a Letta un problema con molti dei suoi e con una parte consistente dei Cinque Stelle. Ma Casini sarebbe anche un soluzione indolore, capace di stoppare mal di pancia che già si preannunciano molto fastidiosi.