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Cina, economia in tenuta tra dazi e tensioni: +5,2% nel trimestre

- di: Bruno Legni
 
Cina, economia in tenuta tra dazi e tensioni: +5,2% nel trimestre

Export solido, industria in ripresa e consumi in affanno. Pechino rilancia con la crescita “di qualità” mentre Trump alza i muri. Il Dragone resiste, ma non vola.

(Foto: il presidente cinese Xi Jinping)

L’equilibrismo del Dragone

Nel secondo trimestre del 2025 la Cina ha registrato una crescita del Pil del 5,2% su base annua, in linea con le attese degli analisti ma tutt’altro che scontata in un contesto globale sempre più ostile. Il dato segnala che la seconda economia mondiale continua a muoversi con cautela ma con decisione, mentre affronta un doppio fronte: da un lato la domanda interna fragile, dall’altro la guerra commerciale con gli Stati Uniti riaccesa dal secondo mandato di Donald Trump.

Se il Pil rassicura, è però nella composizione della crescita che emergono le fragilità. La produzione industriale è avanzata del 6,8%, oltre le previsioni degli economisti che indicavano un +5,6%, confermando che la Cina mantiene il suo storico vantaggio manifatturiero. Le vendite al dettaglio, invece, si sono fermate a un +4,8%, deludendo le stime che le vedevano sopra il 5%.

Luci e ombre tra fabbriche e centri commerciali

“L’economia nazionale ha resistito alle pressioni e ha mostrato un costante miglioramento nonostante le difficoltà”, ha dichiarato Sheng Laiyun, vicedirettore dell’Ufficio di statistica cinese, nel corso di una conferenza stampa oggi a Pechino. “Sia la produzione che la domanda stanno crescendo in modo stabile”, ha aggiunto, ma senza trionfalismi.

La discrepanza tra industria e consumi racconta una Cina ancora sbilanciata sul lato dell’offerta. Il boom dell’export, in particolare verso l’Asia sudorientale, ha fatto da traino nei mesi di aprile, maggio e giugno. Tuttavia, il rallentamento della domanda interna, penalizzata da salari stagnanti e da una crescente prudenza dei consumatori, rischia di compromettere la transizione del Paese verso un modello basato sui consumi interni, da tempo obiettivo dichiarato della leadership cinese.

Trump rialza i muri, Pechino punta sulla “autonomia”

A pesare sul quadro, come una costante nuvola geopolitica, sono i nuovi dazi imposti dagli Stati Uniti. Il presidente Trump, rieletto lo scorso novembre, ha annunciato all’inizio di luglio un’estensione delle tariffe fino al 35% su oltre 300 miliardi di dollari di importazioni dalla Cina, colpendo settori chiave come l’elettronica, l’automotive e la chimica.

La reazione di Pechino è stata ferma ma calcolata. Nessuna escalation immediata, ma una risposta strutturale: il governo ha rilanciato politiche di sostegno alle imprese strategiche, accelerando il piano “China Standards 2035” per l’autosufficienza tecnologica e industriale. In particolare, il ministro del Commercio Wang Wentao ha dichiarato che la Cina intende “ridurre la dipendenza da fornitori esteri e puntare sull’innovazione made in China”.

Economia in bilico, ma Pechino tiene la rotta

Nonostante il contesto difficile, il governo guidato da Li Qiang sembra voler mantenere il target annuo di crescita intorno al 5%, già definito “prudente ma realizzabile” dal premier nel corso del Congresso nazionale del popolo lo scorso marzo.

Secondo il think tank China Center for Economic Reform, i prossimi mesi saranno cruciali per testare la tenuta dell'economia reale, in particolare nel settore immobiliare, dove i grandi conglomerati come Country Garden e Evergrande, pur in fase di ristrutturazione, continuano a esercitare una pressione sistemica sul mercato del credito.

Allo stesso tempo, Pechino sta cercando di stimolare i consumi con misure mirate. Il ministero delle Finanze ha annunciato nuovi sgravi fiscali per le famiglie a basso reddito e incentivi per l’acquisto di veicoli elettrici e prodotti tecnologici. Una mossa che, seppur parziale, punta a riaccendere la fiducia in un’economia che negli ultimi due anni ha vissuto una lenta ma decisa trasformazione.

Il Dragone e l’Occidente: un confronto asimmetrico

Mentre l’America trumpiana si chiude dietro muri tariffari, la Cina mostra al mondo una narrativa opposta. Il ministro degli Esteri Wang Yi, nel corso del summit Cina-ASEAN a Nanning, ha ribadito che Pechino “non vuole una nuova guerra fredda economica” ma “è pronta a difendersi con fermezza”. Una diplomazia aggressiva ma inclusiva, giocata con attenzione in Asia, Africa e America Latina, dove il Dragone continua a investire in infrastrutture e materie prime.

E l’Europa? Dopo i dazi Usa, Bruxelles guarda a Oriente con crescente interesse. L’interscambio con la Cina è aumentato nei primi sei mesi del 2025 (+6,1%), con una crescita sostenuta delle esportazioni tedesche e italiane. Ma resta la diffidenza su tecnologia, diritti umani e cybersicurezza.

Il vero nodo: la crescita di qualità

Pechino sa che il vecchio modello – crescita a due cifre, cemento e produzione di massa – non è più sostenibile. Lo ha ribadito di recente anche Yi Gang, ex governatore della banca centrale, intervenuto al forum di Tsinghua il 10 luglio: “La Cina deve imparare a crescere meno, ma meglio. Serve una crescita di qualità, sostenibile e orientata all’innovazione”.

Il vero banco di prova non sarà solo nei numeri del Pil, ma nella capacità di riformare l’apparato statale, liberalizzare settori chiave e stimolare la fiducia dei giovani e della classe media. Il Dragone ha resistito. Ma per volare di nuovo dovrà cambiare pelle.

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