Il centrodestra sempre ostaggio del suo 'giorno della marmotta'
- di: Diego Minuti
Oggi, negli Stati Uniti, è il "giorno della marmotta", una sorta di rito pagano che, basandosi sul comportamento di questo grazioso, ma anche abbastanza volubile animaletto, riesce - o almeno ci tenta - a prevedere quando arriverà la primavera. Un piccolo evento che a noi - ad eccezione dei cultori delle tradizioni americane - è rimasto sconosciuto sino quando nelle nostre sale arrivò un film, interpretato da un bravissimo Bill Murray, che raccontava le vicende di un intrattenitore televisivo costretto a rivivere, più e più volte, lo stesso giorno.
Oggi per l'italico centrodestra è il ''giorno della marmotta", che sta facendo assistere al Paese alla solita, immancabile, immutabile commedia di tre partiti (parliamo dei più grandi, con massimo rispetto per gli altri che lo compongono) che, ormai da anni, riescono nell'impresa di vanificare la maggioranza reale che hanno, immolandola sull'altare della presunzione e dell'avventurismo dei singoli.
Per l'italico centrodestra è il ''giorno della marmotta"
In Italia, almeno con questo sistema elettorale, la somma dei partiti che si rifanno, politicamente, al centrodestra non avrebbe difficoltà ad essere maggioranza anche in Parlamento e quindi, almeno secondo la logica, a guidare il Paese, cosa peraltro reclamata a gran voce.
Ma qui, come tra il dire e il fare, si determino distanze enormi, perché quando il potere sembra a portata di mano gli egoismi particolari hanno il sopravvento e quindi, come nel filmico ''Giorno della marmotta'', si torna indietro facendo le stesse cose, ma soprattutto gli stessi errori.
È un continuo applicare le regole del Monopoli alla politica, pur nella consapevolezza che l'obiettivo di mandare un esponente realmente di centrodestra a Palazzo Chigi è a portata di mano. Basta però fare una mossa sbagliata o dire una parola di troppo per tornare alla casella di partenza o, peggio, come sta accadendo, restare fermi per un giro.
L'epilogo della lotteria del Quirinale rischia di essere l'ennesima falla nella barca del centrodestra. Ma questa volta non si può pensare ad una riparazione alla bell'e meglio, perché le evoluzioni tattiche di Matteo Salvini sono state spericolate e, peraltro, nemmeno rispettando le regole formali che dovrebbero esserci tra alleati. Tacendo del fatto che la conferma di Mattarella è stata considerata da tutti una sconfitta per Salvini, che l'ha subita non potendo più fare altro, dopo avere candidato e bruciato una decina di personalità che certo non pensavano di fare la fine che il ''Capitano'' ha loro provocato.
Ricucire lo strappo, ad oggi almeno, sembra un discorso lontano. Anche perché le parole che Salvini continua ad usare potrebbero essere prese male da Giorgia Meloni. Come il mantra ''io lavoro per unire e non per dividere'', pronunciate da chi ieri ha fatto e disfatto ignorando gli alleati, che suona quasi come una presa in giro.
Il futuro del centrodestra - almeno per quello che è stato sino ad oggi - è molto incerto perché, come è naturale, le diverse matrici ideologiche si stanno manifestando con evidenza. E non basta dare qui e là qualche pennellata di sovranismo per ricompattare la coalizione, perché le diversità di vedute sono troppe.
Come dimostrato dalle parole di Antonio Tajani, coordinatore di Forza Italia, che ha ribadito l'atlantismo del partito azzurro, quasi a marcare le differenze con l'afflato filorusso che Salvini non fa nulla per nascondere. Resta comunque da chiedersi come sia possibile che il centrodestra sia arrivato a questo punto quando, appena alla vigilia della maratona per il Quirinale, gli incontri e l'identità di vedute tra Berlusconi, Salvini e Meloni erano pane quotidiano per i notisti politici.
In ogni caso, nell'incertezza generale (vedi: futuro immediato dei 5S), c'è un solo dato che balza agli occhi di tutti con evidenza: Matteo Salvini è già in campagna elettorale e, se ne capiamo ancora qualcosa di politica, ne vedremo delle belle.