Boris Johnson si dimette (senza scusarsi di nulla) ma resta fino a ottobre

- di: Redazione
 
''The Joker'' ha deciso di togliere l'incomodo, ma, con flemma tutta britannica e rasentando l'impudenza, lo farà senza tanta fretta, forse a ottobre, perché, nonostante l'onta di una cacciata da Downing Street ,come quella cui è stato fatto oggetto, Boris Johnson vuole rispettare le scadenze delle procedute dei conservatori quando si tratta di nominare il loro leader che, stante questa composizione del parlamento, è anche capo del governo.
Johnson ha annunciato le sue dimissioni da capo dei conservatori dal tradizionale leggio installato davanti alla porta del n.10 di una delle strade più famose di Londra, la più famosa certo del mondo della politica.
Ha parlato nemmeno per molto, sette minuti, ma sufficienti per fare capire di essere stato costretto alle dimissioni dopo avere subito la pressione di gran parte del suo partito, ma di stentare a capirne le ragioni, forse confortato dal sostegno del circolo ristretto dei suoi fedeli collaboratori, quasi pretoriani a difesa dell'Imperatore, nonostante l'evidente disfatta.

Boris Johnson si dimette (senza scusarsi di nulla) ma resta fino a ottobre

E lo ha fatto capire chiaramente, quando ha detto di essere costretto a ''rinunciare al migliore lavoro del mondo'', ma di doversi piegare a quello che ha definito, dando prova come sempre di grande eleganza, ''l'istinto del gregge".
Le parole di Johnson sono state punteggiate da fischi e parole di scherno da parte di alcuni contestatori, cui hanno fatto da contrappunto gli applausi dei parlamentari fedeli al premier, in una surreale rappresentazione dell'attuale momento politico in Gran Bretagna dove, nonostante l'enormità delle cose contestate a Johnson, soprattutto dal punto di vista della morale e dell'etica, c'è ancora chi crede in lui.
In ogni caso, dicendo di volersi dimettere e che, comunque, avrebbe "servito'' il Paese sino a quando non arriverà un ''nuovo leader conservatore", Johnson ha creato le condizioni per ulteriori pressioni su di lui da parte dei suoi compagni di partito affinché non traccheggi troppo, magari in attesa di un miracolo che non arriverà.

In ogni caso, BoJo non ha perso l'occasione per cercare di farsi già rimpiangere dall'elettore conservatore tipo, quando ha detto che quello di primo ministro "era il mio lavoro, il mio dovere, il mio obbligo nei tuoi confronti, continuare per fare ciò che abbiamo promesso nel 2019”.
Ovviamente senza alcun accenno alle tante questioni che, una volta via, lascerà aperte. Come quella dell'annunciato referendum indipendentista della Scozia (ipotesi da lui respinta con evidente fastidio, quasi mostrando disprezzo) o delle revisioni unilaterali degli accordi della Brexit, che mettono a rischio la Gran Bretagna di un contenzioso internazionale da cui uscirebbe quasi certamente perdente.

La cascate di accuse, contestazioni, rimproveri e prese di distanza da lui non sembrano avere scalfitto l'enorme ego di Johnson che, nel dire di doversi dimettere, ha continuato a incensarsi, come se quanto si è abbattuto su di lui sia infondato, oltre che ingiusto e incomprensibile.
"Negli ultimi giorni - ha detto l'ineffabile Boris - ho cercato di persuadere i miei colleghi che sarebbe eccentrico cambiare i governi quando stiamo offrendo così tanto, quando abbiamo un mandato così vasto e quando in realtà siamo solo una manciata di punti indietro nei sondaggi (....), quando la scena economica è così difficile a livello nazionale e internazionale".

Quello che sconcerta (non solo in Gran Bretagna) è che, nonostante la gravità di quanto accaduto (scandali e scandaletti vari, che hanno coinvolto lui o personaggi che gli sono vicini) è che Johnson non si è mai, in nessun momento, scusato per la sua condotta.
Nemmeno per la decisione di avere nominato guardiano della disciplina dei Tories Chris Pincher (che già nel 2019, cosa a conoscenza del premier, era stato oggetto di una denuncia per una condotta della sua sfera personale ritenuta disdicevole); nemmeno per scrollarsi di dosso le accuse e i sospetti su chi abbia effettivamente pagato i costosi lavori di ristrutturazione di Downing Street, in cui magna pars avrebbero avuto la moglie Carrie e le di lei preferenze in materia di arredi. Tanto che, a fronte di una disponibilità di 30 mila sterline per gli interventi per decorare le residenze private del premier, il totale delle spese realmente affrontate pare sia stato di oltre 100 mila sterline.

Che la fine fosse ad un passo lo si è cominciato a capire martedì quando, nel volgere di pochi minuti, si sono dimessi due ministri, Sajid Javid e il potente Cancelliere dello Scacchiere, Rishi Sunak. Come se la decisione dei due esponenti del governo avesse scatenato una tempesta, le dimissioni di ministri e vicesegretari si sono abbattute come grandine su Johnson, che fino a ieri ripeteva a gran voce che sarebbe rimasto al suo posto.
Downing Street, nel giro di poche ore, è diventata la destinazione di delegazioni di conservatori che chiedevano al premier di andare via e di altri, dell'ala più estrema del partito, che gli garantivano lealtà e appoggio. Come una belva che sino alla fine si batte cercando di azzannare chi vuole ucciderla, Johnson ha voluto dare un'ultima prova di forza, licenziando quello che, dei suoi pretoriani, era il più fedele, un Tigellino che lo ha sempre difeso e coperto.

Ma questo non ha evitato a Michael Gove il licenziamento.
Il breve discorso di commiato è stato un concentrato di frasi fatte, ipocrisia e spocchia perché, pur dicendosi d'accordo con sir Graham Brady, presidente dei parlamentari conservatori (che aveva detto che ''il processo di scelta del nuovo leader dovrebbe iniziare ora''), Johnson non ha fatto il minimo cenno alle sue responsabilità, anzi rivendicando tronfio i suoi successi elettorali: ''voglio dire grazie ai milioni di persone che hanno votato per noi nel 2019, molti di loro hanno votato conservatore per la prima volta; grazie per quell'incredibile mandato, la più grande maggioranza conservatrice dal 1987, la più grande quota di voti dal 1979''.
Poi, ad onore del vero, ci sarebbero i party alcolici e le festicciole di compleanno o saluti, mentre chiudeva i britannici in casa per il Covid; i misteri su chi lo abbia sostenuto economicamente per i lavori di abbellimento del 10 di Downing Street; le palpatine del recidivo Pincher a due uomini in un bar.
Ma, avrà detto in cuor suo Johnson, queste sono cosucce rispetto alla Storia, che - forse lo pensa veramente - gli renderà onori e meriti .
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