Bonnie Carroll: "Accanto alle famiglie dei militari morti in guerra, senza guardare la divisa che indossano"

- di: Daniele Minuti
 
La guerra non è ‘’soltanto’’ morti e distruzione, perché ogni conflitto si lascia dietro una scia di dolore che spesso è inestinguibile. Perché la morte, cancellando una vita, spesso è inaccettabile agli occhi di chi per colpa della guerra non ha più accanto a sé una persona al quale voleva bene. Del dolore di chi resta si sono occupati scrittori e registi, che ne hanno fatto oggetto di opere spesso segnate dall’incapacità di rassegnarsi. Poche pennellate d’artista per descrivere il baratro in cui si cade anche quando, appena poco prima, si alimentava la speranza che la persona cara, andata in armi alla guerra, potesse tornare sano e magari anche non segnato nell’anima. Come la mater dolorosa dei tre fratelli Ryan - magistralmente disegnata da Steven Spielberg - davanti ai telegrammi che, tutti insieme, le annunciavano la morte di tre dei quattro figli andati in guerra.

Bonnie Carroll nel 1994 ha fondato il Tragedy Assistance Program for Survivors (Taps), una rete di supporto per le famiglie degli americani caduti in guerra. Nella sua biografia si legge che, dopo la morte del marito (generale di brigata dell’esercito americano Tom Carroll, deceduto con altri sette militari in un incidente aereo) ha trasformato la sua tragedia personale in uno sforzo mirato per creare quello che oggi è il principale programma nazionale per assistere, compassionevolmente, coloro che hanno perso qualcuno in servizio.

Dal 1994 ad oggi, Taps ha assistito di più di 80.000 familiari di caduti, con un servizio che non si ferma mai, 24 ore al giorno per ogni giorno dell’anno. Ha servito sotto più presidenti americani e nel 2015 Barack Obama l’ha insignita della Presidential Medal of Freedom, la più alta onorificenza degli Stati Uniti conferita a non militari.

A Bonnie Carroll (che è maggiore della riserva dell’Air Force) Italia Informa ha rivolto alcune domande.

Intervista a Bonnie Carroll, fondatrice del Tragedy Assistance Program for Survivors

Mai, come in questi giorni, la parola guerra è tornata a occupare quotidiani e televisioni che parlano di morti e devastazioni. Lei, con il Tragedy Assistance Program for Survivors, dal 1994 sta aiutando le famiglie dei caduti americani in guerra. Qual è il suo animo davanti al dramma dell’Ucraina, sapendo cosa si lascerà dietro?
Tragedy Assistance Program for Survivors è un’organizzazione statunitense che opera al fianco delle famiglie dei militari caduti in Guerra, tramite collaborazioni in tutto il mondo, compresa quella con la sua organizzazione “gemella” in Ucraina. Poche settimane fa, le donne di TAPS Ukraine vivevano in pace, dopo aver passato gli ultimi sette anni a piangere i propri cari, persi nel conflitto con la Russia del 2014. Queste vedove di guerra stavano crescendo i loro figli da sole e andavano avanti insieme, come una comunità che piange i propri cari perduti e dà un significato al loro eroico sacrificio. Erano legate e elaboravano progetti per l’estate, guardando al futuro con speranza. Il 25 febbraio, la loro vita normale si è fermata e sono state all’improvviso catapultate in un’altra guerra, temendo per la loro vita e dovendo combattere per sopravvivere nel loro Paese, lo stesso per cui i loro cari si sono battuti e sono morti. Sappiamo che arriverà il momento in cui tornerà la pace, in cui la storia di chi è morto in queste settimane sarà raccontata e il suo sacrificio celebrato. Sono stata in Ucraina diverse volte e sono molto legata alle famiglie di TAPS Ukraine, l’organizzazione che si prende cura di chi ha perso le persone che amavano e che ora si prepara ad accogliere e proteggere nuove famiglie di sopravvissuti.

Quali sono le problematiche comuni ai familiari di un caduto in guerra e come la sua organizzazione le affronta?
La morte di chi va in guerra non è naturale, è causata dalla violenza e a subire queste conseguenze sono solitamente i più giovani, con ancora tutta la vita davanti e che finiscono coinvolti nel conflitto. In quanto comunità globale, TAPS riconosce questi fattori: ogni nazione ha provato, nella sua storia, a dare un significato alla morte dei suoi soldati, ma noi ciò che abbiamo dimenticato di fare, ciò che monumenti, rituali e cerimonie non ci insegnano, è il modo in cui la perdita di chi non c’è più ha il potere di dare significato alle inevitabili conseguenze della guerra. Sono le voci di chi ha perso persone amate a spiegarci che il significato della guerra non è comprensibile nel momento del conflitto, ma solo quando è finito; che la lezione da trarre da una guerra non riguarda ciò per cui i soldati sono morti, ma ciò per cui hanno vissuto. La morte e il lutto sono conseguenze inevitabili della violenza e della guerra. Ma le persone che vivono o hanno vissuto durante guerre possono insegnarci come trasformare il dolore in forza con cui costruire società pacifiche. Sono le vedove, gli orfani, i veterani e i rifugiati, quelli che hanno assistito alle azioni migliori e peggiori dell’umanità e che sono stati obbligati a ricostruire non solo i loro Paesi , ma le loro stesse identità.

I numeri del suo impegno, con il Tragedy Assistance Program for Survivors, in 28 anni di attività, sono impressionanti: 80 mila familiari di caduti assistiti grazie alla rete nazionale che ha creato. Quando il Taps ha cominciato la sua missione avrebbe mai pensato di ottenere questi risultati?
Ho fondato il Tragedy Assistance Program for Survivors nel 1994, dopo la morte di mio marito, in un incidente aereo mentre si trovava su un velivolo militare. Anche io ero un’ufficiale nella riserva ed ero convinta che esistesse un’organizzazione che si prendesse cura di chi aveva perso una persona cara che serviva nell’esercito. Quando mi resi conto che negli Stati Uniti non esisteva una struttura del genere, cominciai a occuparmi delle necessità di persone come me e a valutare la necessità di un’organizzazione simile, in grado di colmare questo vuoto. Se l’esercito statunitense fa un lavoro straordinario nel fornire onori militari, provvedendo al seppellimento in un cimitero nazionale e fornendo benefici governativi alle famiglie dei caduti che ne hanno diritto, il governo non è in grado di fare ciò che TAPS fa al momento per le persone che hanno perso qualcuno. TAPS fornisce supporto emotivo e assistenza dedicata con modalità che il governo non può adottare, aiuti finanziari in situazioni di emergenza, accesso alla National Military Survivor Helpline e contatti continui con servizi di supporto in ogni comunità. In molti pensano che le morti dei militari arrivino solo durante le guerre, ma noi ci occupiamo anche di morte suicide, per malattie o incidenti.
Nel 2021 sono state 9.246 le persone che hanno perso una persona cara nell’esercito a essersi rivolte a TAPS negli Stati Uniti, un dato in crescita rispetto ai 7,538 del 2020. Negli ultimi vent’anni, TAPS ha collaborato con organizzazioni simili in tutto il mondo, come India War Widows, Israeli Defense Forces Widows and Orphans e molte altre. Lavoriamo a stretto contatto con organizzazioni che si prendono cura di famiglie anche in Italia, per assicurarci che chi ha perso un soldato sia incluso nella Global Federation of Families of Military and Conflict Deceased. Nei Paesi in cui non ci sono programmi simili, TAPS si è attivata per la loro creazione, come è accaduto nel 2018 con la nascita di TAPS Ukraine.

Il suo programma ha, tra i punti fondamentali, il fatto che le ferite dell’anima di chi ha perso in guerra una persona amata si possono curare soprattutto con l’aiuto di tutti, delle comunità. E’ un modello solo americano o, secondo lei, può essere replicato anche in altri Paesi?

Le guerre sono mosse dalle nazioni, ma combattute da individui: dividono famiglie e accadono nelle comunità.
Ci hanno raccontato che la guerra riguarda la politica, ma le perdite ci insegnano che la guerra riguarda le persone.
Quindi, nessuno comprende il lutto meglio di chi vive in tempi di conflitto. Il potere dell’amore e della morte è universale, proprio come l’esperienza della perdita. Il modo in cui piangiamo i nostri cari è caratteristico di ogni singola cultura, ma, chiunque abbia amato e perso, può trovare comunanza nel cordoglio. Le nazioni costruiscono splendidi monumenti per onorare i loro eroici guerrieri, ma quando non ci sono memoriali, rituali o cerimonie, ci sono cuori spezzati e lutto. Riunendosi, le persone che hanno perso i propri cari possono trovare sollievo e capire che non sono soli.

Il suo impegno al servizio degli Stati Uniti ha attraversato più Amministrazioni e più Presidenti. Si è mai sentita sola in quella che, a detta di tutti, è una meritevole missione?
Prima di sposare mio marito, ho lavorato alla Casa Bianca per tre diversi Presidenti, vedendo di persona quanto pesante sia perdere ogni nostro soldato per il Comandante in Capo, titolo portato dal Presidente in quanto leader delle forze armate. Dopo la morte di mio marito e la fondazione del Tragedy Assistance Program for Survivors, ho visto il modo in cui le famiglie dei caduti sono rispettate dai nostri politici. È un concetto universale e ho avuto la possibilità di visitare memoriali di guerra in tutto il mondo, da Roma a Londra, da Baghdad a Kabul, da Kathmandu al Cairo.
Nel 2015, il Presidente Barack Obama mi ha onorato con la Medaglia presidenziale della libertà, il più grande riconoscimento civile negli Stati Uniti, per via del mio lavoro con TAPS grazie al quale mi prendo cura delle famiglie dei caduti di guerra. Fare questo lavoro è un privilegio: ricordare i sacrifici compiuti dai nostri militari, prendersi cura delle famiglie che li stanno piangendo e onorare personalmente il sacrificio di mio marito.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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