Quirinale: Berlusconi, storia di una sconfitta annunciata. Si riaprono i giochi
- di: Diego Minuti
La più improbabile ed improponibile delle autocandidature alla massima carica dello Stato italiano si è incagliata ben prima di potersi mettere alla prova del voto. E così Silvio Berlusconi ha fatto il passo indietro che tutti, anche quelli che ufficialmente gli avevano garantito il loro appoggio, si auguravano e non per un solo motivo.
Berlusconi, oggi come ieri e come sarà sempre, deve combattere una battaglia personale contro l'impatto che ogni sua azione ha nell'opinione pubblica anche non italiana, soprattutto in un momento storico in cui ogni gesto, ogni comportamento può essere colto, riportato, analizzato, condannato.
Silvio Berlusconi rinuncia alla candidatura al Quirinale
L'uomo è un grande combattente, sagace (come dimostrato il capolavoro del cosiddetto ''sdoganamento'' della Destra, portata in modo soft nel Palazzo, senza la rivolta di piazza che qualcuno temeva), intelligente. Ma non ha mai saputo imporsi una cesura che ne determinasse il distacco dalle sue consuetudini di comportamento con l'austerità che il ruolo pubblico impone.
Un aspetto della sua personalità che, come accade sempre più spesso, ha spaccato la platea tra chi lo ha sostenuto sempre e comunque (con un pizzico di invidia) e chi lo ha visto come la personificazione di un modo di comportarsi spericolato ed arrogante.
Ma Silvio Berlusconi, come i pacchetti vacanze, è questo e non si può modificare. Anche le ultime mosse della sua personalissima battaglia per il Quirinale sono stati all'insegna dell'autoreferenzialità che lo ha sempre nutrito. Perché la sua è stata una candidatura in cui si sono stravolti i canoni tradizionali. Perché, per la prima volta nella storia del Paese, c'è stato qualcuno che si è candidato ad una carica elettiva non soltanto sulla base dai propri voti, ma chiedendo precise garanzie su quelle degli alleati. Come se, ribaltando i criteri usuali e prendendo in prestito un linguaggio da leguleio, spettasse all'imputato l'onere della prova e non all'accusatore.
La ''risalita'' di Berlusconi sul suo personalissimo Aventino è stata scandita anche da altre particolarità, che sembrano uscire da ogni ragionevole consuetudine. A cominciare dal fatto che la comunicazione della sua decisione di ambire più al Quirinale non l'ha fatta di persona, ma l'ha affidata ad altri. Una cosa che può pure essere giustificata con un inciampo di salute, ma che deve essere stato grande, se gli ha impedito anche solo di manifestarsi da remoto (il vertice del centrodestra è stato in video) magari per rivolgere un saluto ed in grazie a chi, almeno a parole, lo avrebbe dovuto accompagnare sin davanti all'austero portone del Quirinale. E' stato come se snobbasse l'uditorio, ritirandosi offeso nelle sue stanze a ripensare all'ingratitudine del mondo. La presa d'atto dell'impossibilità dell'impresa non è stata però asettica come forse doveva, viste le circostanze, perché, prima di tornare a fare il ''padre nobile del Centrodestra'', Berlusconi ha voluto gettare manciate di veleno nei pozzi, perché è così che dev'essere considerata la parte del suo messaggio in cui auspica la prosecuzione della legislatura sino alla fine naturale, mettendo un paletto alla 'voglia matta' dei Fratelli d'Italia di andare subito al voto per capitalizzare il consenso. Come a dire: mi tolgo da sotto il riflettore, ma non completamente...
Ora i giochi per il Quirinale sono riaperti, anche se forse non è completamente esatto dire che le velleità personali di Berlusconi li avessero effettivamente aperti.
E lui, Berlusconi, cosa farà?
Mentre si intrecciano voci discordanti sulla sua salute, sarà forse costretto a prendere atto che, nella vita come in politica, niente è scontato e quindi, anche se da capo di un partito che fa parte della coalizione di governo, dovrà accettare che è il momento di considerarsi un uomo come gli altri, che può anche essere sconfitto, ma senza perdere la dignità. Da oggi il suo peso politico è molto inferiore rispetto al momento in cui ha manifestato il suo sogno del Quirinale, perché in politica tutto può essere perdonato - anche le malefatte e gli scandali -, ma non fallire per ambizione.