Nel discorso a Pechino il leader lancia un ultimatum: dialogo o scontro. Con Putin e Kim al fianco, la nuova architettura del potere globale si muove contro l’Occidente.
Xi cambia il tono: “Il mondo scelga, la Cina ha già deciso”
Non è stata la potenza militare in sé a rendere memorabile la giornata a Pechino, ma le parole di Xi Jinping. Davanti a soldati inquadrati, leader stranieri e telecamere globali, il presidente cinese ha posto una domanda che suona come un ultimatum: “Pace o guerra? Dialogo o scontro? Cooperazione o rivalità a somma zero?”, ha scandito Xi. Poi la conclusione, secca: “Il grande rinnovamento della Cina è inarrestabile”, ha affermato.
Il messaggio non era rivolto ai presenti in Piazza Tienanmen, ma al mondo intero. Anzi, in prima battuta a Washington. Il monito su Taiwan, definita “parte inseparabile della patria”, è stato inequivocabile: Pechino vuole forze armate “di livello mondiale” per garantire sovranità, unità e integrità territoriale.
Il contesto globale: Trump come catalizzatore
Xi ha scelto un lessico binario, da resa dei conti, che intercetta le inquietudini del cosiddetto Sud globale. La sua proposta di una governance mondiale “più equa e stabile” cavalca la frattura aperta dalle politiche commerciali di Donald Trump, con dazi e sanzioni che hanno spinto molti Paesi emergenti a guardare verso Pechino in cerca di un’alternativa.
Non è casuale che al fianco di Xi fossero presenti Vladimir Putin e Kim Jong-un: simboli di un blocco eterogeneo ma unito dall’obiettivo di erodere l’egemonia americana. La parata, cornice scenografica dell’evento, è stata funzionale a questo racconto di potere.
La sfida su Taiwan e Pacifico
Il passaggio più delicato del discorso riguarda Taiwan. Xi ha ribadito che l’Esercito popolare di liberazione dovrà diventare “una forza di classe mondiale” capace di salvaguardare la sovranità nazionale. Tradotto: Pechino accelera la preparazione per un’eventuale riunificazione, anche in chiave di deterrenza verso gli Stati Uniti nel Pacifico occidentale.
La dimostrazione di mezzi — dai vettori a lungo raggio alla triade nucleare — ha un valore politico più che tecnico. La vera arma, infatti, è la determinazione. “Nessuna potenza straniera potrà impedire il rinnovamento della nazione cinese”, ha dichiarato Xi, indicando una linea rossa che passa per lo Stretto di Taiwan.
Un messaggio all’Occidente: la scelta è vostra
Nel suo discorso Xi non ha citato direttamente gli Stati Uniti, ma le allusioni erano trasparenti. “Le tragedie della storia non devono ripetersi”, ha ammonito Xi, chiamando in causa il passato coloniale e l’interventismo occidentale. La Cina si presenta come potenza “pacifica”, e allo stesso tempo invita gli altri ad adattarsi alla sua ascesa: il bivio è tra dialogo e scontro.
La contrapposizione è netta: Pechino si accredita come forza stabilizzatrice, mentre accusa l’America di praticare un egemonismo destabilizzante. La posta in gioco non è solo militare o commerciale, ma narrativa: chi stabilisce le regole e chi racconta il mondo.
Il nuovo spartiacque geopolitico
La giornata del 3 settembre non resterà nella memoria per le coreografie militari, ma per la svolta retorica di Xi Jinping. Con una formula breve, quasi propagandistica, il leader ha chiuso ogni spazio di ambiguità: la Cina non accetterà ostacoli alla propria ascesa. In questo messaggio c’è la cifra di un nuovo spartiacque: da un lato l’asse Pechino-Mosca-Pyongyang che si offre al Sud del mondo come alternativa; dall’altro un Occidente più diviso e un’America percepita come imprevedibile.
Xi ha messo le carte sul tavolo. La domanda non è più se la Cina avanzerà, ma come e a quale prezzo il resto del mondo sceglierà di rispondere.