Il forte incremento del gettito fiscale derivante dalle accise su energia e gas registrato negli ultimi mesi si sta rivelando un elemento chiave per la tenuta dei conti pubblici. In un contesto segnato da incertezze geopolitiche, fluttuazioni dei mercati energetici e difficoltà di approvvigionamento, la struttura impositiva italiana ha permesso allo Stato di ottenere risorse straordinarie senza varare nuove tasse.
Accise su energia e gas: l’extragettito fiscale come leva di stabilità
Le accise, applicate su volumi fissi di prodotto e integrate dall’IVA sul prezzo finale, hanno generato un flusso automatico di entrate in linea con l’aumento dei consumi e del costo delle materie prime. Un meccanismo che, pur con le sue criticità, si è confermato efficace come stabilizzatore fiscale.
Un extragettito utile in tempi di alta spesa pubblica
I dati più recenti indicano un gettito superiore alle attese, che il governo ha potuto in parte destinare alla copertura di spese incomprimibili, come il rinnovo dei contratti pubblici, l’indicizzazione delle pensioni e l’estensione di alcuni bonus energetici mirati. In un periodo in cui la pressione sui conti pubblici si somma alla necessità di rispettare i parametri europei sul deficit, questa voce di entrata si è rivelata essenziale per mantenere l’equilibrio tra rigore e sostegno alla domanda interna. Le accise, in questo scenario, hanno funzionato come una forma di fiscalità flessibile e progressiva: al crescere dei consumi e dei prezzi, è cresciuto anche il contributo alla finanza pubblica.
Transizione energetica e responsabilità fiscale
L’Italia si trova oggi in una fase di passaggio cruciale verso un nuovo modello energetico. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede forti investimenti in rinnovabili, efficienza e mobilità sostenibile, ma la transizione non può prescindere da una gestione prudente delle entrate. In questo quadro, l’extragettito da accise può essere letto anche come una forma di internalizzazione dei costi ambientali: chi consuma più combustibili fossili contribuisce in misura maggiore al bilancio dello Stato, permettendo di finanziare — almeno in parte — le politiche di riconversione ecologica. Il gettito non è dunque un semplice “surplus”, ma una leva potenziale per accompagnare il cambiamento, se incanalato in direzione della sostenibilità.
Una struttura da modernizzare con cautela
Ciò non significa che il sistema non necessiti di interventi. Le accise italiane sono in parte datate, costruite su una logica storica che risale a decenni fa, spesso legata a esigenze straordinarie (guerre, calamità, finanziamento del trasporto pubblico). Il governo ha più volte annunciato una revisione organica del sistema, anche in funzione di una maggiore equità. Tuttavia, l’intervento non può essere radicale né improvvisato. Ridurre drasticamente le accise senza disporre di fonti alternative rischierebbe di creare squilibri pericolosi. Occorre un approccio graduale, capace di combinare sostenibilità ambientale, stabilità fiscale e protezione delle fasce più vulnerabili.
Una pressione fiscale da monitorare, non demonizzare
È comprensibile che l’aumento delle bollette e dei prezzi dei carburanti abbia generato malcontento tra cittadini e imprese, soprattutto nei periodi più critici dell’emergenza energetica. Ma attribuire tutto il peso al sistema fiscale rischia di semplificare un quadro complesso. Le accise rappresentano oggi uno strumento di resilienza per l’intero sistema Paese, garantendo risorse senza dover ricorrere all’indebitamento. L’obiettivo delle politiche pubbliche nei prossimi mesi dovrà essere quello di calibrare con intelligenza questo strumento, evitando eccessi ma riconoscendone la funzione, anche in un’ottica di responsabilità collettiva.