Senza più maggioranza, Draghi va avanti solo per il suo prestigio

- di: Diego Minuti
 
Cosa resta a Mario Draghi, da presidente del Consiglio, oltre al suo prestigio personale?  Poco o nulla. Il voto di ieri sulla capienza dei bus turistici (un argomento che, interessando solo la categoria, ha un impatto sull'opinione pubblica pari allo zero) era assolutamente marginale rispetto ai grandi temi di cui si occupa un Parlamento, ma ha dato l'occasione per creare una nuova maggioranza che sarà stata pure legata alla contingenza, ma che sancisce l'evaporazione della coalizione di governo. 

Si potrebbe, anzi, dire che la maggioranza si è spappolata perché se - come hanno fatto i seguaci di Matteo Renzi - voti un emendamento di Fratelli d'Italia non lo fai anche perché lo ritieni meritevole del tuo appoggio, ma solo per creare ulteriori problemi al governo, anche se il vero obiettivo sembra essere Draghi ed un suo possibile futuro al Quirinale.  E' di tutta evidenza che il voto non è stato sul merito dell'emendamento, ma squisitamente politico per fini e obiettivi che sono ben chiari solo a Matteo Renzi ed ai suoi più collaudati sodali, che evidentemente condividono ogni mossa del capo. Ma, se si guarda con attenzione alle dinamiche politiche degli ultimi mesi, la mossa di Renzi di smarcarsi dalla coalizione di governo è figlia non della certezza di calamitare il consenso, ma al contrario della debolezza di una condizione oggettivamente anomala: forte (ancora) in parlamento, dopo avere scippato al Pd un congruo numero di deputati e senatori; praticamente inesistente nel Paese (galleggiando intorno al 2 per cento).  Che poi è lo stesso Paese che lo ha osannato sino all'avventura del referendum e che ora stenta a capirne la linea, vedendolo qualcosa a metà tra un politico che cerca una ricollocazione nello scenario generale e un soggetto molto vicino a essere un transfuga.  

Siamo sicuri, conoscendo la furbizia animalesca dell'uomo, che Renzi, con le attività collaterali a quella di senatore, si muova ancora abbondantemente entro il perimetro delle leggi. Ma certo fa sensazione vederlo capitalizzare il suo passato, che però è ancora è il suo presente. 

Tony Blair - spesso tirato in ballo parlando del Renzi conferenziere a pagamento - ha fatto fruttare i suoi trascorsi a Downing Street, ma solo molto dopo essere uscito, veramente, dalla politica. Perché puoi parlare di argomenti e tematiche, a patto che non interagiscono con il ruolo di parlamentare, facendo sospettare che ogni tuo intervento possa essere condizionato da elementi e fattori esterni. E ci fermiamo qui.

Ribadiamo che non è un problema di leggi o non leggi, ma di opportunità. 

La domanda che invece è lecito porsi è se i parlamentari di Italia Viva - transitati nella creatura renziana dopo essere stati eletti nel Partito democratico - condividano la deriva di centrodestra imposta dal senatore di Rignano alla sua formazione politica. Le conversioni sulla via di Damasco fanno notizia se episodiche, ma se, come nel caso di Italia Viva, sono un fenomeno di massa appare difficile attribuirvi un valore politico, ritenendo invece che dietro ci sia una motivazione di opportunismo. Perché, candidandoti con un partito di sinistra o riformista come il Pd, ne accetti le connotazioni politico-ideologiche. Come poi si possa passare armi e bagagli al centrodestra, trovandosi accanto partiti dichiaratamente anti-sinistra resta un mistero. Buffo, come l'avrebbe definito Dario Fo.
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