Il linguaggio ‘bellico’ durante la pandemia lascia divisioni e ferite profonde

- di: Giuseppe Castellini
 
Il linguaggio è stato il vero ‘medium’ dell'emergenza e, invece di legittimarsi, ha creato anche sacche di disinformazione e un bisogno di riconoscere la qualità dalla quantità, perché il linguaggio è diventato un terreno di contrapposizione e non del confronto e quindi abbiamo assistito spesso, e assistiamo ancora, a lotte tra categorie e centri di potere con l’emersione in maniera subdola, ma decisa, dell'uso di un linguaggio bellico (…)”. “Una narrazione tossica che ha portato con sé una serie di effetti negativi che hanno generato ansia, paura e insicurezza (…)”. “Sono i giovani le vittime più dirette di questo fenomeno, che produce uno stato di aggressione continua. Un comportamento divisivo a più livelli, non essendoci più alcun effetto di intermediazione autorevole nei processi comunicativi”.

Una presa di posizione accurata ed in piena regola quello che Renato Vichi, Group Head Institutional Affairs and External Communication International Subsidiary Banks di Intesa Sanpaolo, ha pronunciato nella riflessione di apertura della cerimonia di consegna del Premio annuale Ferpi (Federazione Relazioni Pubbliche Italiana) ai comunicatori, che si è tenuto lo scorso 14 febbraio a Milano presso Areapergolesi Events e che ha avuto come fil rouge la comunicazione durante la pandemia. In questo contesto la riflessione introduttiva di Vichi ha messo al centro il ruolo dei media, partendo da un dato di fatto: "All'inizio - ha detto - è stato utilizzato un linguaggio ‘bellico: il personale sanitario era in 'prima linea', al fronte”. Un linguaggio tossico che ha generato insicurezza e paura, che ha determinato una narrazione divisiva, con le articolazioni del potere “purtroppo quasi sempre in conflitto tra loro”. La politica, gli scienziati, i media sono stati elementi divisivi: “Abbiamo registrato una grande pluralità di soggetti, con un ruolo preminente da parte delle istituzioni, tra i quali abbiamo assistito in una prima fase al conflitto tra governo e regioni anche sotto il profilo della comunicazione”. E, se è logico che in un una fase pandemica sia predominante il polo sanitario, tuttavia anche qui sono stati utilizzati diversi linguaggi, che hanno messo sotto stress l’opinione pubblica: “Abbiamo fatto molta fatica - ha scandito Vichi - per comprendere le priorità e le ricadute di quanto ci veniva spiegato”.

L’intervento sul linguaggio di Renato Vichi, nella riflessione che ha introdotto il Premio annuale Ferpi ai comunicatori  

Da qui il Responsabile della Comunicazione e degli Affari esterni di Banca Intesa ha tratto un primo bilancio: "Dopo due anni il nostro Paese è riuscito a risolvere molte questioni, ma dopo uno stress di questo tipo il condizionamento a cui ci ha esposti questo linguaggio è ancora molto evidente. Il linguaggio, con questo tipo di stress, ha creato e crea flussi capaci di creare caos, angoscia e sfiducia: nelle istituzioni, nei mezzi a disposizione, nelle possibili cure, emarginando intere fasce della società, quelle più deboli e con strumenti cognitivi più fragili”. Tra le principali vittime di questo linguaggio, che genera una narrazione tossica e divisiva, Vichi ha indicato i giovani: “Sono purtroppo i giovani le vittime più dirette di questo fenomeno che produce uno stato di aggressione continua, di un comportamento divisivo a più livelli. Non essendoci più alcun effetto di intermediazione autorevole i processi comunicativi sono diventati orizzontali. E una società che divide penalizza i più deboli e, a sua volta, un linguaggio divisivo, li emargina e li confina nella paura". 

Poteva e può essere diversamente? Sì, ha risposto Vichi mettendo l'accento sul linguaggio, sulla sua potenza, sulla sua capacità anche inclusiva e chiarificatrice. Pur avvertendo che “nessuno di noi ha la formula”, ha indicato la necessità che si avvii “un processo di speranza in cui la contrapposizione diventi soprattutto dialogo e confronto”.
A questo punto ha messo sul tavolo la parola chiave, usata spesso anche da Papa Francesco: ‘concordia’: “Perché il significante comunicativo dietro questa parola sembra quasi una profilassi al dramma che stiamo vivendo, fatto di eventi che contrappongono continuamente gli uni con gli altri e un linguaggio violento e divisivo che privilegia la contrapposizione all’unione”. Il risultato è una società frammentata, divisa, confusa, incerta e impaurita nella quale  soprattutto le fasce deboli si trovano ad annaspare e rischiano di essere lasciate indietro. “Ma - ha concluso Vichi con nettezza - se lasciamo indietro le fasce più deboli rischiamo di ampliare questo gap e di rendere l'emarginazione dei prossimi anni ancora più profonda. Le istituzioni e le imprese dovrebbero occuparsi di queste debolezze, in primis perché una sostenibilità economica e sociale si crea con un contributo più ampio possibile della società e, in secondo luogo, perché verrebbe fornita una piattaforma sociale più equa e sicura per adeguare tutti noi e le giovani generazioni ad affrontare il futuro”.
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